NES: Noi Ebrei Socialisti


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IL NES E I SIGNIFICATI DI CHANNUKKA'

Data: 2023-12-17
Autore: NES

NES Noi Ebrei Socialisti
אנחנו יהודים סוציאליסטים

I significati di Chanukkà vanno cercati e inquadrati, come frequentemente nella liturgia ebraica, in un preciso momento della storia del Popolo d’Israele, di volta in volta un cammino di liberazione dalla schiavitù (Pesach), di superamento di una condizione di grave pericolo per l’esistenza fisica (Purim) o spirituale (Chanukkà), affinché i fatti del passato possano parlare al presente e farci intendere il senso attuale del racconto, anzitutto l’insegnamento che riguarda la libertà, la difesa dell’identità, l’indipendenza e l’autodeterminazione del Popolo Ebraico, valori basilari nella costruzione permanente di una sensibilità ebraica volta al futuro, nella consapevolezza del compito di Luce tra le Nazioni -
Or Ammim, affidato ad Israele, nonostante il suo evidente essere minoranza tra i popoli, pochi tra i molti, come pochi furono tra i molti i resistenti che si opposero al re seleucide
Antioco IV permettendo ai deboli, con l’aiuto divino, di battere i forti e come poco fu l’olio per la riconsacrazione del Tempio, ma indispensabile e bastevole per otto giorni, per il tempo necessario.

L‘olio è metafora, come ci dice un midrash, del Popolo Ebraico stesso. Esso non si mescola con l’acqua ed altre sostanze da cui rimane sempre distinto, per quanto possa venire energicamente agitato. In compenso impregna tutto ciò con cui entra in contatto. Rav Giuseppe Laras Z”L sottolineava che “l’olio non è più importante dell’acqua; non è più necessario dell’acqua; non è nemmeno “migliore” dell’acqua. L’olio, infine, a differenza dell’eccesso di sale o di un veleno, non cambia la potabilità dell’acqua. Semplicemente esso non è acqua, e l’olio ha un suo modo d’essere e un suo compito specifico, nell’economia della nostra fede e della nostra visione del mondo, che - questo sì - sono diversi da quelli dell’acqua.” Sapere di essere olio, questo significa allora saper riconoscere la propria identità, la propria distinzione o kedushà che è alla base di una vittoria anzitutto su se stessi prima che sugli altri, come lo fu la guerra maccabea. Perché diciamo questo?

Perché la vera vittoria dei Maccabei, fu di natura etica prima che militare e conseguita su altri ebrei. Una vittoria dunque su se stessi. Vinse la consapevolezza di quanto fosse urgente una risposta concreta al degrado della vita ebraica, con l’effetto di suscitare – vero miracolo politico - la reazione solidale di una parte consistente di altri ebrei, fino a quel momento indifferenti quando non ostili alla tradizione nella loro accecante fascinazione “modernista” per l’ellenismo, che si unirono nella stessa lotta ai conservatori e perfino ai haredim per essere insieme custodi e difensori della Torah, scendendo in campo non per interessi di parte o semplicemente nazionalistici ma in una guerra per la Torah (milkhemeth mitzvah), l’unica prescritta.

Una grande coalizione vincente che ci offre un insegnamento sempre attuale riguardo alla necessità di superare le divisioni interne, allora come ora, insegnamento nel quale inoltre è racchiuso un segreto: le scelte che facciamo come ebrei devono andare sempre, per essere efficaci, contro il conformismo cui spesso siamo indotti da scelte di comodo, all’apparenza più favorevoli o attraenti ma alla lunga snaturanti e non deve mancare il coraggio, come singoli e come collettività, di attraversare il fiume, ricordando che essere ivrì (ebreo=colui che attraversa, oltrepassa), significa prendere atto prima di tutto che esiste il fiume, molti fiumi da attraversare tra una sponda e l’altra della nostra vita. Ma egualmente ci ammonisce – guardando ai risultati finali della dinastia asmonea, nata da quello scontro – a sorvegliare le nostre azioni perchè, come scriveva Rav Soloveitchik: “se la religione si corrompe con l’immoralità, essa volta faccia e diviene una forza negativa e distruttrice”.

I valori etici e identitari messi in gioco dalla vittoria maccabea continuano ad echeggiare nel presente. Anche a noi infatti è richiesto un analogo impegno di fronte alle pressioni e alle seduzioni di una società globalizzata che aspira inevitabilmente a uniformare tutto, nell’economia, nella politica, nella cultura, nella morale a standard generali che comprimono la diversità e cancellano le differenze.

Basterebbe ricordare, per quanto ci riguarda come europei, i periodici tentativi, anche recenti, di omologazione e proibizione di pratiche fondamentali della tradizione ebraica come la circoncisione (brit milà) o la macellazione rituale (schechità) ecc. considerate - non
molto diversamente da quello che pensavano i seleucidi - alla stregua di abitudini barbariche.

Oppure le frequenti reprimende verso lo Stato di Israele in quanto Stato Ebraico, riflesso di una specificità che non viene accettata, nonostante l’evidente democraticità delle sue Istituzioni e della vita del Paese anche in presenza di governi e scelte politiche non gradite. Mentre ci si guarda bene dal porre analoghe questioni per Paesi in cui notoriamente la democrazia è carente, a rischio o del tutto mancante e suona a vero paradosso che il Paese degli ayatollah abbia assunto la presidenza del Forum sociale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra.

Di fronte all’escalation della violenza antisemita di Hamas e Jihad verso nuovi livelli di ferocia, quali abbiamo visto il 7 ottobre 2023, che costituiscono un unicum senza possibili
confronti nel passato e che hanno scatenato una guerra di difesa obbligata e necessaria - ma sempre tragicamente nemica dei principi di convivenza in cui vogliamo continuare a credere - possano le luci delle chanukkiot accese nei giorni scorsi in tutto il mondo illuminare ogni
giorno di più la nostra vita, proteggere chi difende Israele al prezzo della propria, rischiarare le nostre menti e l’intera umanità, espandendo all’infinito (come è simboleggiato dal
numero otto) i propri riverberi, segnali che le fiamme delle candele inviano a chiunque voglia accettarli.

Segnali di speranza che invitano alla vittoria sopra ogni forma di hybris, di tracotante violenza (“Chi è il saggio? Chi impara da qualsiasi uomo. Chi è veramente forte? Chi domina le proprie passioni” Pirkè Avot 4,1), affinché gli sforzi dei singoli e delle collettività siano indirizzati verso la strada della pace e delle realizzazioni sociali, che non può prescindere però dalla giustizia, dalla libertà e dalla ricerca della verità, sempre più corrotte e negate, che della pace sono la linfa e la garanzia. Valori peraltro che hanno trovato sostanza concreta e realizzazione quotidiana negli stessi kibbutzim devastati il 7 ottobre scorso, nei quali si sono incarnati in massimo grado gli ideali e i progressi del socialismo ebraico.

NES, Noi Ebrei Socialisti

Chi è interessato al “Manifesto” del NES
scriva a gherush92@gmail.com

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