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IL PENSIERO SEMPLICE AL POTERE

Una dannosa ipotesi di omologazione mistificazione e tradimento

Data: 2013-03-06
Autore: Gheush92

I neoteorici del pensiero semplice, verdisti e demagogisti, hanno la presunzione di ipotizzare una società a misura d’uomo, conviviale, serena, felice, sostenibile, un mondo ideale che persegue una non meglio precisata “abbondanza frugale”. Per fare ciò urlano i più banali e qualunquisti concetti come la mamma è buona, la corruzione è cattiva, i partiti sono obsoleti, il verde è bello, facciamo ingrassare le industrie dell’energia rinnovabile, andiamo tutti a fare i contadini. Questa linea, pseudopolitica e pseudo movimentista, nascosta dietro un bieco pacifismo, trova consenso in quella parte di borghesia ambientalista, progressista, cattocomunista e terzomondista che ha sempre rappresentato il servizio d’ordine più repressivo e reazionario al libero fluire delle rivendicazioni dei movimenti reali.

Questa piccola borghesia ambientalista, che, in buona parte, vive una “crisi in decrescita”, è affabulata dall’idea che l’austerità imposta dalle circostanze economiche possa diventare un germoglio di un diverso e disperato stile di vita e di cittadinanza. Sembra un’aspettativa, speculare e opposta, della stessa componente sociale che si accampa, di notte, in attesa di acquistare il nuovo modello di cellulare, o di quella altrettanto ottusa e qualunquista che crede nella Verità (falsa) del web. Si tratta solo di comportamenti e orientamenti del mercato, in cui l’agire collettivo è la sommatoria di scelte individuali che non si relazionano fra di loro.

Chi ha dilapidato l’eredità della sinistra, sotterrandola nel moralismo e nel giustizialismo, ha dilapidato una moltitudine di eredità. Per esempio l’insegnamento dell’introduzione nei processi economici del concetto di degrado e irreversibilità e della dipendenza dell’economia dall’ecologia (M. Pieri).

I teorici del pensiero semplice, verdisti e demagogisti, hanno il torto di ridurre il problema della “crisi delle risorse” a meditazioni socio-antropologiche e consigli paternalistici. Novelli gesù, nei loro manifesti (senza toccare la chiesa pedofila) definiscono, in una logica passiva e manichea, ciò che è bene e ciò che è male nella società dei consumi rispetto alla crisi, come se questa si potesse risolvere con aggressioni meramente moralistiche, con il si e il no perentorio dell’inquisizione o delle camice nere. E i dubbi, le interpretazioni, i chiarimenti? Via tutto … ! Questa banalizzazione offende la memoria della critica (non marxista) di Marcuse – «il termine totalitario non si deve applicare soltanto ad un'organizzazione politica terroristica della società, ma anche ad un'organizzazione economica-tecnica non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti» - o di Pasolini – «l'omologazione culturale ha cancellato dall'orizzonte le “piccole patrie”, le cui luci brillano ormai nel rimpianto, memorie sempre più labili di stelle scomparse. Come polli d’allevamento, gli italiani hanno indi accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo: è questa la nuova società nella quale oggi ci muoviamo, testimoni e vittime dei lutti culturali».

Nulla di nuovo quindi se non lo svilire il pensiero dei movimenti che hanno alimentato un dibattito strutturale reale in un contesto di movimenti reali (68, 77, diritti civili, ows) in grado di formulare una piattaforma pragmatica e rivoluzionaria allo stesso tempo.

I teorici del pensiero semplice, verdisti e demagogisti, puntano ad una illusoria società “ambientale” (tutta forma, niente sostanza), o “etica” o “morale”, o “onesta” senza cambiare nulla della società attuale, un riformismo di basso profilo tipico della “gauche caviar”. Esaltano ideologicamente, per esempio, la formazione dei Gruppi di Acquisto Solidale quasi fosse chissà quale fuga dal sistema capitalistico quando non è né più ne meno di una tecnica di “procurement” (approvvigionamento) ampiamente consolidata dalle grandi reti di supermercati, da grandi gruppi di acquisto, o al limite, una lontana reminescenza dei mercatini rossi (senza però lo scopo di finanziare forme di lotta).

Anche l’esperienza delle “transition town”, considerata un modello di fuga dall’urbanizzazione, non tiene conto del fatto che tali esperienze di gestione del territorio sono limitrofe ad aree e distretti industriali avanzati (e inquinanti) che le alimentano economicamente.

La confusione che regna non è che l’apice di un ulteriore processo di omologazione, la ricerca di un comune sentire moralistico su una serie di sciocchezze artatamente poste all’ordine del giorno come problemi chiave da risolvere. Una colossale mistificazione di cui l’arroganza di falsi progressisti continua ad essere colpevole, preparando il terreno per ulteriori involuzioni nei diritti travestiti da ipotetiche e false conquiste.

Che nel dibattito politico e culturale (si fa per dire), ingessato su stupide questioni di ricambio generazionale e di costi della politica, qualcuno insegua tali sciocchezze e ormai ne sia travolto, è un chiaro segno di degrado. Questo è frutto di totale incapacità di elaborazione politica e culturale e di mancanza di comprensione dei processi reali, con il risultato di dirottarli, appunto, verso un pensiero semplice, individualista e disarticolato. Tutto questo fa si che gli elementi qualificanti e i reali punti critici che la società occidentale non riesce, o non vuole trattare, vengano solo sfiorati.

Fra questi, il dibattito sulle grandi tematiche ambientali in ambito internazionale, delegato alle Organizzazioni Non Governative strette in un rapporto ambiguo con i Governi; la questione fondamentale degli allevamenti intensivi, della sofferenza degli animali e della necessità della veloce riconversione trattate come un piccolo corollario; il problema dei diritti umani, in particolare la questione indigena e della diversità culturale, sempre strutturalmente disattese e oramai dimenticate; la questione energetica, la più manipolata delle problematiche ambientali ed economiche, la cui soluzione non può prescindere dalle precedenti: energia rinnovabile è ormai uno slogan che nasconde un’acritica venerazione per tecnologie a bassissimo rendimento ed è frutto di un’insensata propaganda e di una grave mistificazione tecnica e politica che rischia di produrre un altro, e più grave, disastro ambientale e culturale.

Oggi come ieri sono esclusi dal dibattito e dalla lotta il diritto ad una “società bioeconomica”, il diritto alla diversità, i diritti degli animali, la lotta al razzismo, il diritto ad una “società ecologica” (tecnicamente e non moralmente strutturata), il diritto dei lavoratori, il diritto alla libera partecipazione e alla creazione di movimenti utili per il cambiamento, la definizione di programmi per la cooperazione internazionale. Basso profilo dunque, senza nessun impegno per qualunque piattaforma strategica o strutturale.

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