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DECRESCISTI INGIUSTIZIA E MORALISMO ALL'UNIVERSITA' ROMA TREData: 2012-11-06Autore: Gherush92 La natura della pedagogia decrescista risiede negli innumerevoli richiami alla coscienza individuale fino alla richiesta di rendere “endogena” la riduzione o l’eliminazione di beni rappresentativi del consumismo quali cellulari, computer, televisioni. Il movimento della decrescita, quindi, si muove in una logica interna al sistema di mercato dove le preferenze del consumatore restano sovrane nella schiavitù, anche quelle di non consumare, di procrastinare i consumi, di ridurre il tasso di sostituzione e quindi orientare la domanda verso altri prodotti o servizi che soddisfano tali esigenze. Si vuole appunto dare solo valore morale alla merce, buona e cattiva! Così le ideologie della crescita e decrescita sono miti speculari perché, ben lungi dal creare nuovi modelli di sviluppo a monte (produzione), competono esclusivamente sul prodotto (a valle). Le stesse idee di localizzazione dell’economia in una logica di stimolo all’auto-produzione (orti, km zero), di creare barriere d’entrata all’economia e agli scambi commerciali sono risposte che, per essere attuate, necessitano di un sistema totalitario (fascista), in grado di imporre ideologicamente la cicoria al posto del caffè o le ricette di Petronilla. I decrescisti accompagnano tale mentalità a una forma di odio snobistico per la competitività come se i sistemi naturali o umani, per sviluppare nuovi processi, non avessero bisogno di concorrere tra di loro. Confondere un sistema a concorrenza perfetta con le storture del sistema capitalistico è un errore madornale. Ma ciò che rende dannoso e ambiguo il pensiero dei decrescisti è l’esaltazione del “locale” da una parte e la volontà di muovere le coscienze occidentali in forme di evangelizzazione energetica, culturale, antropologica del tutto globali e complessive e, soprattutto, mistificanti, dall’altra. Il suggello di tale modus operandi è stato, peraltro, esaltato dall’alleanza con i movimenti missionari cristiani che hanno ragion d’essere solo nella distruzione della diversità culturale e ambientale e nella evangelizzazione di popoli e territori. L’omologazione cristiana e quella decrescista vanno di pari passo travestite da pseudo inculturazioni falsamente ecologiste o ambientaliste. Asserzioni del tipo “Anche se ci priviamo di ogni oggetto, non di meno restiamo culturalmente prodotti da questa società: solo riconoscendoci impregnati di questa cultura, possiamo fare il primo passo e cominciare ad essere, finalmente, “malati guaritori” sono solo il frutto di una predicazione moralistica ed evangelica, che rende la decrescita un’ipotesi reazionaria, negativa e dannosa. Un movimento che alimenta il razzismo con l’eterogenesi dei fini del pensiero, dove si parte dall’uomo, l’uomo occidentale, per idolatrare un ecologismo di facciata tutto interno al sistema di riferimento. Cosa significano affermazioni del tipo “Non siamo ideologicamente contrari ad ogni forma di crescita. Per andare verso una futura società sostenibile alcuni prodotti e comportamenti dovranno essere ridotti o abbandonati, mentre altri dovranno essere sostenuti e sviluppati”, se non che il determinismo occidentale, basato solo su principi etici (buono, cattivo), resta la pietra angolare delle scelte di gestione del territorio. Anche il concetto di sostenibilità, privo di significati di natura tecnico-scientifica, è del tutto inconsistente, fumo per gli occhi. Il punto di partenza e di arrivo nella coscienza dell’uomo occidentale è il limite invalicabile del pensiero decrescista. Un limite che non considera la porzione di umanità realmente vittima dei problemi che la decrescita vorrebbe trattare. Un “divertissment”, quindi, per pseudo intellettuali di bocca buona. Non è certo con l’autoproduzione dello yogurt o l’allevamento di una mucca in casa che si risolve il problema della povertà o si costruisce un qualificato manifesto politico e culturale. Si disserta di ambiente senza tenere conto, se non con i buoni consigli, del punto di vista degli animali, delle loro sofferenze. Si pensa al tema delle risorse locali escludendo le analisi precise e puntuali delle popolazioni indigene nelle sedi internazionali. Non vi sono tracce, per esempio, di solidarietà e collaborazione culturale con popoli europei che realmente praticano un modello di vita “soft”, come i Roma, costantemente sull’orlo dell’abisso e vittime di razzismo e deportazioni forzate. Una costruzione di pensiero che non funziona scientificamente, ma solo come progetto dove si raccolgono gruppi di individui, non per costruire una piattaforma di cambiamento, ma per ricondurli con messaggi rassicuranti nella loro individualità o esaltando l’individualismo delle piccole collettività (i condomini, gli orti, i GAS). Non esiste uno stimolo ad affrontare di petto il sistema che si critica, ma si veicola un credo dove la finalità non è risolvere questioni o lottare per farlo, ma “cristianamente” redimersi. In questa mistura di analisi economiche, sociologiche, etiche, antropologiche si percepisce come si tratti di un movimento controrivoluzionario alla stessa stregua del cristianesimo che, lo ricordiamo, dietro il presunto pretesto di una rivoluzione (antisemita) delle coscienze, non ha scalfito, anzi ha favorito il dominio della potenza occupante (i romani). I decrescisti, e i loro maestri di pensiero della banalità, proponendo di raccogliere masse e restituire coscienze individuali senza scalfire il problema dell’omologazione culturale e ambientale del pianeta, anzi, alleandosi con le frange globalizzatrici cristiane sono subdoli complici di tale processo distruttivo. Nel coacervo indistinto delle loro indicazioni moralistiche è del tutto assente il principio di giustizia, un collegamento al diritto, alla capacità di stabilire regole in grado di rendere una comunità collettivamente e complessivamente soddisfatta. Tale assenza, altra analogia con l’arbitrio omologatore cristiano e fascista, si ripercuote nella vacuità della proposta dei decrescisti (più di qualcosa meno di qualcos’altro) che sottende una grave carenza di analisi e di scientificità sostituita solo da una presunta etica. Non sappiamo, perché non ci sono, quali regole i decrescisti possiedono per risolvere il problema della povertà, il loro principio di carità, le regole per la corretta nutrizione, per rispettare e scambiare con la diversità culturale. Solo gretti predicatori e inutili predicazioni. |
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