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UNA BOMBA IDEOLOGICA CRIMINALIZZARE CHI NON MANGIA LA BISTECCA

La Venuta del Mashi’ah

Data: 2011-12-18
Autore: Gherush92

“La loro sofferenza è intensa, diffusa, in espansione, sistematica e socialmente approvata. E le vittime non sono in grado di organizzarsi in difesa dei propri diritti." (Henry Spira, Hashomer Hatzair e Animals Rights International)

Un giornalista di una rivista ebraica ha introdotto un lungo inserto sul rapporto tra animali ed ebraismo evidenziando un ignobile nesso causale tra animalisti e nazisti e criminalizzando chi non mangia le bistecche. Una bomba ideologica con la quale il giornale tenta di purificare la coscienza dei lettori di “bocca buona”, rassicurati dalla demagogia degli orecchianti di turno, dei qualunquisti o di chi antepone lo sconto dal macellaio a delicate questioni di portata epocale. L'intenzione è di stigmatizzare proprio chi, di fatto, pone con determinazione e rigore scientifico all’ebraismo la questione della sofferenza degli animali. Nello stesso tempo qualcuno ha sostenuto, durante il convegno sullo status sconfortante di certa stampa ebraica, che il problema della sofferenza degli animali è stato già affrontato in un ampio dibattito, e quindi risolto; tutto ciò non aiuta certo la buona informazione.

I due fatti non contribuiscono a raggiungere l’obiettivo di eliminare (o almeno ridurre) la sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi, sterminati lager del vivente nei quali, ogni giorno, nel silenzio e indifferenza di giornalisti, politicanti e masse di persone si celebra la mattanza la cui visione è vietata al consumatore che, se fosse educato, come una volta, all’osservazione di come vive ciò che mangia, farebbe certo scelte diverse.

Esiste una pletora di intellettuali, filosofi, giornalisti, politici che ritiene di aver ragionato a sufficienza sulla questione della sofferenza degli animali in un dibattito ideologico in cui tutto è ammesso e possibile, basta non modificare nulla di un esistente fatto di piccoli interessi particolari. Esistono, invece, attivisti (grassroots movements), intellettuali, giovani, movimenti, che, al contrario, desiderano cambiare lo stato delle cose.

L’esistente, in questo caso, è rappresentato dai seguenti temi critici:

- Negli allevamenti intensivi a norma (igienico sanitaria) gli animali soffrono poiché la modalità di riproduzione, nascita e crescita reifica il vivente, privandolo del godimento dell’esistenza e riducendolo a produzione di “materia carnea”; a maggior ragione, negli allevamenti dove si generano abusi e violazione delle norme, la sofferenza degli animali è insostenibile.

- La sofferenza degli animali invalida la kasherut: kasher non può essere un titolo acquisito dopo la macellazione secondo le regole, ma dovrebbe tenere conto dell’intera esistenza degli animali, compreso i pesci, uova, latte.

- La certificazione kasher di animali provenienti da macelli e allevamenti non a norma è nulla. Alcuni filmati documentano ciò che è successo negli Stati Uniti dove si è indagato in merito.

Ridurre la sofferenza di milioni di animali potrebbe alimentare la corretta gestione delle risorse alimentari, il loro bilancio energetico e, quindi, ha una diretta relazione con il problema complessivo della fame e della povertà. Le proteine somministrate ai manzi e agli altri animali consistono per circa il 40% di foraggio e per il resto di cereali. I bovini hanno un’efficienza di conversione delle proteine alimentari solo del 6% e questo significa che un animale produce meno di 50 kg di proteine animali consumando più di 790 kg di proteine vegetali (Damid Pimentel e Marcia Pimentel, Food, Energy and Socity, New York, Wiley, 1979).

La produzione di carne ha effetti sull’ambiente e sul clima come descritto dal documento dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), “Riscaldamento globale: l'impatto sui cambiamenti climatici della produzione e del consumo di carne” dove, per esempio, si afferma che: produrre 1 kg di carne ha lo stesso impatto ambientale di un'auto media europea che percorre 250 chilometri; per ottenere 1 kg di mais sono necessari 900 litri di acqua mentre per 1 kg di manzo 15.500 litri; il 30% delle terre emerse ed il 70% delle terre agricole sarebbero destinate al settore zootecnico.

La quantità di respirazione, flatulenze ed eruttazioni degli animali (concentrati in grandi numeri) sono la causa di un'alta percentuale di emissioni globali di gas serra con conseguenza sui cambiamenti climatici. Le feci provenienti da enormi quantità di animali concentrati in aree relativamente piccole provocano l’inquinamento delle falde acquifere e la contaminazione dell'acqua da parte di colibatteri. Inoltre, i reflui zootecnici sono ricchi di azoto e la loro dispersione nelle acque superficiali provoca gravi danni a causa dell' eutrofizzazione.

L’allevamento intensivo ha dirette implicazione anche su quello “estensivo” ma con caratteristiche industriali. Molti paesi emergenti per entrare nel ricco business della carne disboscano ampie fette di territorio per far posto ai pascoli. Questo diminuisce la capacità di assorbimento dell'anidride carbonica. In più il continuo calpestio del suolo da parte delle grandi mandrie compatta il terreno riducendo l'assorbimento delle piogge e dando luogo a numerosi fenomeni di desertificazione.

La "modernizzazione" zootecnica ha riempito i cibi di erbicidi, stimolatori della crescita, larvicidi e ormoni artificiali. Proprio l'abuso di antibiotici in zootecnia è all'origine del fenomeno della resistenza che da 20 anni tanto preoccupa gli scienziati e le cui percentuali in Italia sono quintuplicate dal ' 92 a oggi: lo sviluppo di pericolosissimi superbatteri resistenti a tutti i trattamenti farmacologici. Molte altre malattie, l'afta epizootica, l'Aids bovino (Biv), la salmonellosi, l'encefalopatia spongiforme bovina sono conseguenza dell'allevamento intensivo.

Ridurre la sofferenza degli animali significa non solo limitare il consumo della carne ma anche aumentare lo stock di vegetali da destinare non più a mangime ma all’alimentazione umana e a fornire, quindi, un contributo alla salvaguardia dell’ambiente e all’uso delle risorse tradizionali. Ridurre la sofferenza degli animali significa salvaguardare la biodiversità e frenare l’omologazione ambientale. Tali implicazioni sono tanto evidenti, tanto è urgente la necessità di cambiare il sistema degli allevamenti intensivi che si è diffuso solo a metà del secolo scorso.

Certo né mediocri giornalisti, né mediocri politici dello “status quo” a bada della poltrona possono fornire alla risoluzione del problema un contributo valido, che invece possono dare i consumatori di cibo kasher, se seguono suggerimenti come questi:

- quando comprate una bistecca o un pollo o un agnello kasher chiedete da quale animale proviene, se ha vissuto in un allevamento intensivo o no, in caso di risposte evasive o garanzie solo sulla parola rinunciate all’acquisto;

- quando comprate del pesce chiedete da dove proviene, se è di allevamento oppure no e se l’animale è pescato in luoghi dove lo stock ittico si sta riducendo. In caso di risposte evasive o di garanzie solo sulla parola rinunciate all’acquisto. Il pesce di allevamento soffre tanto quanto una mucca in un allevamento intensivo;

- quando comprate le uova non fermatevi a scegliere quelle bianche perché non gallate. Chiedetevi piuttosto se provengono da polli allevati a terra con spazi adeguati e non da animali allevati in gabbia o batteria;

- non comprate il foie gras (kosher o no che sia), prodotto derivante dalla tortura delle oche;

- quando comprate formaggio o latte valgono gli stessi suggerimenti precedenti.

La scelta del consumatore condiziona la selezione dei fornitori del commerciante, può contribuire a migliorare il benessere animale, può ridurre o eliminare il consumo di carne. L’opzione vegetariana, indicata da numerosi e autorevoli influenti rabbini, è da tenere in seria considerazione, anche a causa della difficoltà di conoscere realmente ciò che mangiamo e ciò che è kasher.

"Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà"
(Emile Zola)




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