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APPELLO AI PALESTINESI (e agli Israeliani)

12 punti da discutere

Data: 2009-02-25
Autore: Gherush92

1 - I popoli antichi indigeni aborigeni contemporanei degli ebrei per migliaia d’anni hanno esercitato il proprio diritto sul proprio territorio, in armonia con il sacro diritto d’Origine, di Nascita e d’Inizio dato loro dal Creatore, in armonia con la terra e in relazione con popoli e tribù vicine. Solo in un tempo molto recente nella lunga storia di questi popoli, gli europei, dall’esterno e con l’uso della forza hanno voluto imporre i loro valori e il loro potere, con un’azione che costituisce un genocidio fisico, politico e culturale, riconosciuto anche dalle Nazioni Unite. I superstiti sono e si considerano ancora un popolo ed una nazione, sono determinati ad essere riconosciuti come tali e rivendicano la propria cultura, il proprio diritto e il legame con la loro terra. Gli ebrei hanno condiviso lo stesso destino e le stesse aspirazioni dei popoli antichi: sopravissuti alla conquista e allo sterminio hanno lottato per tornare a vivere nella terra cui appartengono.

Il diritto ebraico è come il diritto di un popolo indigeno. Migliaia d’anni fa la legge ebraica ha portato gli ebrei a vivere su una terra e ad esserne parte integrante secondo modalità più complesse ed articolate che non quella che consiste nella semplice occupazione o abitazione in un luogo. Il Creatore è la fonte di rivelazione del diritto ebraico in Eretz Israel, un diritto che si è affermato, è stato esercitato, praticato, desiderato, riconosciuto. Gli ebrei fuggono dall’Egitto e dalla schiavitù e, attraverso quella che oggi si chiamerebbe una lotta d’autodeterminazione, costruiscono la propria identità di popolo e nazione in conformità ad una cultura specifica e definita, differente da quella d’altri popoli vicini. Non è la terra che appartiene al popolo, sono gli ebrei che appartengono alla terra d’Israele e il Creatore assegna loro il paese e i suoi confini: ogni aspetto della vita ebraica, linguistico, politico, sociale, giuridico, spirituale, energetico, biologico, alimentare, è intimamente connesso con quel territorio e ne definisce il legame. Gli ebrei per affermare, esercitare e conservare il proprio diritto sulla terra combattono contro altri popoli e devono osservare regole e precetti che li identificano in quanto ebrei. Da questo momento gli ebrei si chiamano Ham Israel - Popolo di Israele e Goy Kadosh – Nazione Differente (Santa). Gli esili cui il popolo d’Israele o la nazione ebraica sono stati costretti, hanno sempre rafforzato il diritto e l’identità ebraica su quella terra. Gli ebrei sono sempre tornati in Eretz Israel dall’esilio cui sono stati costretti dai nemici. Gli ebrei sono sempre scampati allo sterminio grazie alla loro aspirazione e realizzazione del ritorno in Eretz Israel. Nella diaspora, durata duemila anni, hanno seguito e applicato gli stessi precetti fino ad oggi e hanno dunque conservato il proprio diritto e il legame culturale con la terra d'origine. Nessun popolo, neanche gli arabi, ha affermato un diritto alternativo a quello ebraico sulla Terra d’Israele (Eretz Israel). Nessun altro popolo si è sovrapposto, se non tramite la forza e la violenza. La stessa denominazione "terra di Palestina" qualifica i palestinesi come occupatori: Palaestina è, infatti, il nome attribuito dalla Potenza Occupante Romana, dalla Potenza Occupante Inglese e dalla Potenza Occupante Araba ad Eretz Israel. “Sud della Siria” è la denominazione turca di Eretz Israel fino alla Prima Guerra Mondiale. Il termine Israele qualifica invece allo stesso tempo il popolo e la terra degli ebrei.

2 - Gli ebrei rivendicano un diritto storico e un diritto attuale anche sulla città di Gerusalemme che da sempre è il fulcro della nazione e della cultura ebraica. Gerusalemme è menzionata più volte nel Tanah, il re Davide la fa capitale del regno e con la costruzione del primo tempio diviene la capitale religiosa, giuridica e politica d’Israele. Rappresenta il centro di governo dello stato, è la meta dei pellegrinaggi e continua ad accogliere una comunità ebraica per sempre dopo la deportazione e l’esilio, e anche dopo che i romani cambiano il suo nome in Aelia Capitolina, segno tangibile di una continuità storica mai spezzata; è la capitale nel tempo in cui gli ebrei abitano in Eretz Israel e nella diaspora. E' invasa e conquistata più volte, dai romani, dagli arabi, dai cristiani ma sempre con la violenza e sulle rovine del tempio i cristiani costruiscono, senza alcun rispetto per il luogo di culto ebraico, la chiesa Santa Maria la Nuova e successivamente mussulmani costruiscono la Moschea di Al Aksa e la Cupola della Roccia. Arabi, cristiani e altre comunità vi abitano nei secoli, ma nessuno di questi ha fatto di Gerusalemme la sua capitale. Sotto dominazione ottomana fino alla prima guerra mondiale, dopo la spartizione e la ricostituzione dello stato ebraico, Gerusalemme è occupata dalla Giordania. Gli ebrei allora la rendono efficiente e la amministrano, acquisiscono ed esercitano un "diritto di fatto" nella zona da loro abitata, fino al 67, quando dopo la guerra dei sei giorni Gerusalemme torna ad essere la capitale di Israele. Gli ebrei aspirano da sempre e anche oggi alla ricostruzione del proprio Tempio e a prepararsi per la venuta del Messia.

3 - La storia degli ebrei in Europa, come la storia degli altri popoli antichi sopravvissuti, è la storia di un popolo che ha lottato per difendere la propria identità e la propria cultura: dopo secoli di persecuzioni, ancora per tutto l'ottocento e fino alla metà del novecento, mentre si avvia l'emancipazione in molti paesi d'Europa, gli ebrei vivono confinati nei ghetti, sono soggetti a legislazioni speciali, sono accusati d’omicidio rituale, sono massacrati nei pogrom, sono costretti al battesimo forzato, fino alle leggi speciali naziste e fasciste. Anche il Bund, che lotta per il riconoscimento della nazione ebraica in Russia, è destinato a morire con Hitler e Stalin. Per gli ebrei non esiste alternativa allo sterminio o all’assimilazione al cristianesimo e più tardi al comunismo, al laicismo, al fascismo. Negli anni in cui si programma in Europa la soluzione finale, unica salvezza per gli ebrei è il ritorno in Eretz Israel, luogo sicuro dalle persecuzioni.

Il sionismo e il bundismo sono il nuovo movimento di negoziati per la liberazione del popolo ebraico e per l’affermazione della sua identità, che si è cercato di annientare per secoli.
I bundisti cercano di trattare in Europa il riconoscimento dei diritti della Nazione Ebraica com’entità diversa e separata, ma legata agli altri da un’ipotesi di federalismo culturale con altri popoli. Essi lottano strenuamente per l’affermazione dei diritti civili, politici, culturali. La crescente aggressione sistematica di cristiani, fascisti, nazisti e comunisti rafforza l’aspirazione ebraica a ritornare nella propria terra. I sionisti intraprendono trattative e iniziative diplomatiche per ottenere il riconoscimento del diritto storico degli ebrei ad Eretz Israel. Contemporaneamente gli ebrei s’impegnano a realizzare in Eretz Israel, - allora sotto dominazione turca - le strutture necessarie per ricreare il futuro stato. Trattative e negoziati, riorganizzazione dell’amministrazione e delle infrastrutture nelle città e nelle campagne e lotta armata sono gli strumenti impiegati per far valere il proprio diritto e per rifondare lo stato di Israele.

La Shoah è avvenuta nell’Europa cristiana ed è stata predisposta, pianificata e realizzata da cristiani, nazisti e fascisti (il popolo italiano e il popolo tedesco). La rinnovata teoria dell’annientamento del popolo ebraico, della nazione ebraica, della cultura ebraica non trova oppositori in Europa, anzi sono gravi anche le responsabilità degli Inglesi, dei Sovietici, del Vaticano.

4 - Il conflitto tra Israele e arabi palestinesi è la contrapposizione di due parti che rivendicano ciascuna un legame e, conseguentemente, un diritto su uno stesso territorio. Israele ha proiettato nell'ambito del diritto internazionale la dignità e la validità di un diritto interno definito e coerente con la propria identità di popolo ebraico e con l’appartenenza prima di tutto culturale al territorio, Eretz Israel. Ogni dettaglio della vita civile, spirituale, militare è stabilito dalla legge che definisce i rapporti interni, il legame con la terra, con il tempio, con il cibo, con il lavoro, con il riposo, con i poveri, con i malati, con i morti, con le piante e con gli animali e il rapporto con i popoli stranieri e con i popoli nemici.

Nel caso arabo-palestinese, invece, il diritto al territorio è espresso nei termini del diritto internazionale, che segue l'evoluzione dei processi politici esterni. Nessuno dei documenti, di parte arabo-palestinese, testimonia l'esistenza di un diritto esplicitamente connesso ai luoghi della Palestina, né ha mai fornito gli elementi di un vero e proprio legame culturale e spirituale. I principi espressi nei documenti palestinesi, richiamandosi all’universalità dei diritti umani, si rifanno ai valori validi per tutti gli uomini ma non per le nazioni: l’uguaglianza dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo, il diritto all’autodeterminazione, il valore universale della pace, il progresso economico, sociale e culturale. Assumendo a priori come negativa e illegittima l’azione dell’invasore straniero sionista colonialista, lesiva di un diritto in realtà mai posseduto né esercitato, viene proclamato il dritto a liberare la Palestina come atto di autodifesa. Assumendo inoltre come valore la lotta per l’unità della grande nazione araba, il diritto palestinese, che possiede così un'invadente prerogativa politica ed ideologica, scaturisce dalla sintesi di principi astratti e universali e per questo conduce inevitabilmente ad un non-stato, ad un non-diritto e quindi ad un non-benessere della popolazione. I principi universali dei diritti dell’uomo, infatti, non hanno un significato locale e prescindono da una collocazione temporale.

5 - Il riconoscimento da parte di altri è fondamentale per assumere la propria identità. E' accaduto, ad esempio, che la testimonianza di popoli antagonisti abbia permesso ai superstiti di popoli annientati dalla conquista europea di ricostruire gli elementi della propria identità culturale e dunque del proprio diritto ad esistere. L'editto di Ciro, riportato nel libro di Ezdra, è la prova del riconoscimento dell’esistenza dell'entità nazionale ebraica da parte di altri popoli; le leggi livornine, promulgate da Cosimo dei Medici, sono il riconoscimento ufficiale che gli ebrei costituiscono una nazione; anche la dichiarazione dell’imperatore Napoleone Bonaparte è il riconoscimento che il popolo ebraico, sebbene sia stato privato della sua terra per mezzo della conquista e della tirannia, non ha perso il suo nome né la sua esistenza nazionale. Persino il papa ai tempi dell'Inquisizione, per sortire in questo caso un effetto repressivo, assume un ruolo legislativo nei confronti degli ebrei riconoscendo dunque la specifica identità ebraica. Quale testimonianza o riconoscimento ha avuto fino ad oggi la popolazione palestinese della propria identità? I palestinesi, escludendo il riconoscimento del diritto ebraico in Israele, escludono, di fatto, la possibilità di essere riconosciuti essi stessi come popolo.

Non vi è traccia dell’esistenza storica del popolo palestinese, né della Palestina almeno fino al 1948, anno della proclamazione dello stato di Israele, meglio dire fino al 1967. Il popolo palestinese o i palestinesi non vengono menzionati né nella Risoluzione ONU 181 (spartizione), né nella Risoluzione ONU 242 (guerra del ’67). I palestinesi potrebbero essere identificati, forse, come appartenenti agli arabi, ma questa definizione non è ancora sufficiente ad identificarli come un popolo o un gruppo. Gli arabi originariamente dovevano abitare l'Arabia, penisola dell'Asia sud-occidentale, mentre l’espansione arabo-islamica è molto più tarda. I termini arabo, islamico, mussulmano, si usano per definire ora una regione geografica, ora una cultura, un popolo, una religione, un’entità politica, e si prestano a interpretazioni ambigue e talvolta errate, inventate e fuorvianti. I palestinesi stessi dicono di appartenere alla grande nazione araba, che tuttavia sembrerebbe essere un’entità assai più recente. Popoli e civiltà del medio oriente contemporanei agli ebrei fino alla conquista romana del 70 d.c., dunque, non sono i Palestinesi, bensì gli Egiziani in Egitto e in Libia, i Fenici in Libano, gli Arami in Siria, gli Hittiti in Anatolia centrale, gli Hurriti e Mitanni in Mesopotamia settentrionale, i Cassiti o Cossei in Mesopotamia meridionale, i Caldei che costituirono il 2° Impero Babilonese, gli Assiri in Siria, i Filistei o Peleset, i Popoli del Mare, gli antichi Arabi – Minei – Sabei nella parte sud occidentale della penisola Arabica, i Medi in Iran centrale, i Persiani a sud dell'altopiano dell'Iran, i Parti nell'Iran orientale, i Sassanidi dinastia di derivazione Persiana. Si potrebbe dire che i termini Filistei, Philistin, Palestin, Palestinesi, potrebbero indicare la stessa etnia, ovvero potrebbero essere pronunce o dizioni diverse per indicare la stessa gente illirica venuta dall’ Asia Minore migliaia di anni fa. Qui va osservato che i Filistei non erano semiti, non erano arabi, non hanno mai avuto alcun legame storico, etnico o politico con gli arabi o con l’Islam, non parlavano la lingua araba e non erano mussulmani. Quindi se i Palestinesi intendono far derivare la propria identità dai Filistei, dovrebbero dimostrarlo recuperando interamente la cultura filistea con lingua, tradizioni, leggi e spiritualità, andando al di là di una mera somiglianza terminologica acquisita di recente e utile solo a fini propagandistici. I filistei erano già scomparsi, al tempo dell’occupazione romana di Eretz Israel. Il nome Palestina, che non appare mai né nel Tanah, né nel Corano, non è autoctono, non è in nessuna maniera legato o collegabile al mondo arabo e non era mai esistito prima che i romani conquistassero definitivamente,nel 135 E.V, Eretz Israel.
Il termine Palaestina è stato inventato e attribuito dalla Potenza Occupante Romana ad Eretz Israel, cambiando il nome della stessa in Provincia Syria Palaestina, poi abbreviato in Palaestina. I romani fecero questo per umiliare gli ebrei che combattevano contro l’occupazione e per completare, insieme alla deportazione, la loro distruzione.
Inoltre, se è vero che popolazioni di religione mussulmana hanno occupato e abitato la porzione di terra grossomodo identificata con quella che viene chiamata arbitrariamente Palestina storica, questo è avvenuto in tempi più recenti e comunque la originaria popolazione ebraica è sempre stata presente; la denominazione “Palestina” è il frutto di una falsificazione che ha modificato ingiustamente anche i termini della spartizione del 1947. Si dice comunemente “Palestina storica” e mai “Israele storico”. La terra ebraica storica, cioè quella che è stata abitata dagli ebrei per migliaia di anni, comprende Israele, West Bank, Giordania (ex Transgiordania), parte dell’Iraq e della Siria. Ma dal punto di vista ebraico e cioè dal punto di vista del Creatore, non esiste una terra storica, esiste Ertez Israel che rimane tale anche se la terra è stata conquistata o se è stata concordemente concessa ad altri. Nel primo dopoguerra il mandato britannico destinò una parte della Palestina alla costituzione del regno Hascemita della Transgiordania. Quella terra era parte integrante della Palestina evocata dalla Dichiarazione Balfour nel 1917. La parola Palestina ha assunto dunque nel tempo diversi significati e la spartizione del ’47, non fu altro che la divisione di un residuo della terra d’origine. La Giordania ha emanato una legge che vieta ad un ebreo di risiedere in quel paese, il cui territorio è storicamente parte di Eretz Israel.

6 - La storia recente della spartizione della Palestina può essere intesa come una possibile convivenza di due popoli o come lo sterminio del nemico: nel 1948 gli ebrei accettano il piano di spartizione previsto dalla risoluzione n. 181 delle Nazioni Unite e, ritornando a vivere su una parte della loro terra, proclamano l’indipendenza dello stato d’Israele; viceversa gli abitanti arabi rifiutano la convivenza con il popolo ebraico e prospettando deliberatamente una non soluzione al problema della costituzione di un nuovo stato arabo, offrono come unica soluzione lo sterminio e l’eliminazione del nemico (ebraico).

7 - In questo quadro e su questa linea si devono inserire i discorsi ufficiali e le dichiarazioni di Arafat come una minaccia continua all’esistenza dello stato d’Israele: per la realizzazione del suo sogno nella terra palestinese, il leader dell’OLP nega il legame giuridico, culturale e storico del popolo ebraico con la terra di Israele, e minaccia gli ebrei perché modifichino le promesse illusorie dell’ideologia sionista, rinuncino al loro stato e finalmente accettino di vivere in una terra palestinese. E’ la delegittimazione dello stato ebraico, che proprio sul sionismo e sul ritorno degli ebrei nella terra di origine ha basato l’idea e la possibilità reale della sua rifondazione. Il leader del Movimento di Liberazione Palestinese nel suo discorso alle Nazioni Unite del 1974 e quasi trent’anni più tardi nella dichiarazione alla conferenza mondiale contro il razzismo di Durban afferma e conferma che il sionismo è un movimento razzista, colonialista e imperialista e accusa lo stato di Israele di occupare la terra dei Palestinesi e di perseguire le idee e le pratiche della superiorità della razza, del genocidio e dello sterminio. Con un’opera revisionista, paragonando Israele al Sud Africa dell’apartheid, senza argomentare o documentare affermazioni prive di verità storica o del diritto, e facendo leva sui peggiori pregiudizi antisemiti, Arafat propone un programma politico basato esclusivamente sulla falsa propaganda antisemita e ripropone e prospetta come soluzione la formazione di una Palestina unica come un'unità regionale integrale che comprende anche l’attuale stato di Israele ma che non comprende inspiegabilmente l’attuale Giordania (ex Transgiordania) pur facendo parte anch’essa di quella che i palestinesi chiamano “Palestina storica”.

La propaganda diventa così, già dagli anni ‘70, l’unico vero strumento di lotta politica dei palestinesi. Ma il fallimento di Arafat e dei palestinesi sono la conferma che un manifesto politico, fondato su valutazioni etico-moralistiche, per di più false, non può essere lo strumento per la creazione di un nuovo stato; il fallimento deriva dal fatto che non si sono dati gli strumenti giuridici e culturali per realizzarlo.

Il documento del 14 gennaio 2003 presentato alla conferenza di Londra dall’Autorità Palestinese è un’ennesima dichiarazione di propaganda politica. Si riafferma l’impegno a due stati che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza, che si deve basare sulla completa fuoriuscita delle forze d’occupazione d’Israele dai territori palestinesi occupati nel 1967, incluso Gerusalemme est. I territori, compresa Gerusalemme est, non sono mai stati territori palestinesi e Israele non è mai stato una forza occupante, né prima né dopo il 1967. Nel testo del documento, inoltre, sono richiamate in modo falso e propagandistico, che non corrisponde al contenuto del testo, le risoluzioni 242, 338, 1397, 194 e la Quarta Convenzione di Ginevra.

8 - Negli ultimi anni la propaganda palestinese ha assunto una forza e caratteristiche sempre più violente e, in certi casi, razziste. Si può morire o uccidere per propaganda e si può ammettere quest’eventualità come inevitabile o addirittura legittima? Evidentemente No. La morte, il sacrificio della vita umana in nome della propaganda non è ammesso. E’ contro ogni diritto. Né il diritto internazionale, né il diritto che governa i singoli stati e nemmeno il diritto che s’ispira ad una vocazione spirituale ammette l’uccisione o il suicidio di un essere umano per la propaganda di un ideale.

Parte dell’Islamismo sembra giustificare i suicidi – omicidi che insanguinano Israele e gli Stati Uniti. Nel patto del movimento di resistenza islamica di Hamas l’incitazione al sacrificio della vita per il suolo della Palestina è esplicita. L’uso della sacralità per perseguire il possesso di una terra e delle sue risorse è una forma di idolatria: uccidere o suicidare in nome della terra arbitrariamente dichiarata sacra significa trasformare la terra e la vita stessa in un idolo. Di fatto, la terra non può essere posseduta e la condizione per fondarvi la vita di un popolo è adempiere le indicazioni e i precetti di un diritto articolato e riconoscibile. Consideriamo a questo proposito lo Statuto del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) del 18 agosto 1988, dove l’art.11 recita:

“Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio?
Questa è la regola nella legge islamica (shari’a), e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio.
E così avvenne che quando i capi delle armate musulmane conquistarono la Siria e l’Iraq, si rivolsero al [secondo] califfo dei musulmani, ‘Omar ibn al-Khattab [591-644], chiedendo la sua opinione sulle terre conquistate: dovevano dividerle fra le loro truppe, lasciarla a chi se ne trovava in possesso, o agire diversamente? Dopo consultazioni e discussioni tra il califfo dei musulmani, ‘Omar ibn al-Khattab, e i compagni del Messaggero di Allah – possano le preghiere e la pace di Allah rimanere con lui – decisero che la terra dovesse rimanere a chi ne era in possesso affinché beneficiasse di essa e della sua ricchezza. Quanto alla titolarità ultima della terra, e alla terra stessa, occorreva considerarla come waqf, affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio. La proprietà della terra da parte del singolo proprietario va solo a suo beneficio, ma il waqf durerà fino a quando dureranno i Cieli e la Terra. Ogni decisione presa con riferimento alla Palestina in violazione di questa legge islamica è nulla e senza effetto, e chi la prende dovrà un giorno ritrattarla…”.

Appare a dir poco strano che per affermare un principio spirituale come quello della sacralità della terra, si usi un termine, Palestina, di natura europea e cristiana, inventato recentemente, che non appartiene alla cultura mediorientale e si riferisce ad una entità che giuridicamente non è mai esistita. Perché non si utilizza un termine arabo che possiamo rintracciare nei testi costitutivi dell’Islam? E perché non si indicano chiaramente i confini della Palestina che,nella definizione inglese, comprende anche l’attuale Giordania?
E come si fa a “sacralizzare” una terra, che appartiene ad un'altra entità, già da molti secoli prima della nascita dell’Islam?

La verità è che l’uso della propaganda ha assunto un ruolo decisivo nell’azione politica dei palestinesi, ma allontana ogni possibile trattativa e la soluzione del conflitto. I termini utilizzati nei documenti ufficiali e non ufficiali dai rappresentanti palestinesi, ripresi da gran parte della società civile e accettati dalle Nazioni Unite, sono demagogici, offensivi e sostanzialmente infondati. La confusione nasce dal fatto che si prescinde dalla realtà storica e politica o dal diritto e ci si riferisce invece ad una situazione ipotetica, frutto di uno schieramento politico, nella quale esisterebbe uno stato palestinese. Ad esempio, i termini “superiorità della razza”, “sionismo uguale razzismo“, “sionismo uguale colonialismo” “territori occupati”, “colonialismo”, “apartheid”, “genocidio”, “pulizia etnica”, “occupazione militare o straniera”, attribuiti ad Israele sono privi di fondamento; i termini “Palestina”, “Stato Palestinese”, “Arafat presidente dello stato palestinese” “patria di origine” attribuiti ai Palestinesi sono da considerarsi impropri.

9 - I termini “coloni ebrei” e l’affermazione “trasferimento illegale di cittadini israeliani nei territori occupati”, diffusi dai media e presenti nei documenti ufficiali delle Nazioni Unite, sono inappropriati e trascendono dalla realtà del diritto, ma contribuiscono ad alimentare la faziosità. Accettare l’uso corrente del termine colono attribuito agli ebrei, significa, per forza, accettare l’uso del termine colono attribuito ai palestinesi. In realtà coloro i quali si sono trasferiti nei “Territori” non hanno violato il diritto internazionale e non dovrebbero essere definiti coloni: non si tratta di trasferimento illegale né di territori occupati – che implica l’esistenza di uno stato palestinese occupato che non esiste; la terra in cui le persone si sono trasferite potrebbe avere lo stato giuridico di res nullius, da quando la Giordania ha dichiarato il suo disinteresse alle terre occupate nel 1967 da Israele in accordo con la risoluzione 242. In realtà, una buona parte di queste terre della storica Eretz Israel, è stata acquistata con regolari atti di compravendita da vari acquirenti. Altre terre, non di proprietà privata, fanno parte di territori che oggi non appartengono ad una precisa autorità demaniale. Questa situazione rende pienamente legittima la permanenza di abitanti ebrei e arabi, ed altri, in queste terre. L’aggettivo palestinese attribuito a territori o a Gerusalemme non corrisponde alla realtà giuridica e non definisce, allo stato attuale, né un diritto di proprietà né un diritto culturale.

C’è chi accusa gli israeliani di non definire i propri confini e di non volere ritornare entro i confini del 67, di prima della guerra dei 6 giorni. Le linee del 67 sono linee d’armistizio, deposizione momentanea delle armi, ma non sono confini negoziati e riconosciuti. Quei confini, peraltro, non riguardano i palestinesi ma Israele e la Giordania.

Le conseguenze negative della propaganda razzista contro Israele sono evidenti sia nei rapporti tra israeliani e palestinesi, sia tra palestinesi stessi che invece di lavorare alla creazione del loro futuro stato, sono concentrati e uniti solo nella delegittimazione del nemico: i bambini nelle scuole palestinesi, fin dai primi livelli imparano l’odio e la violenza contro gli israeliani; la lotta contro il nemico aggressore sionista, il martirio dei palestinesi e l’imperialismo israeliano costituiscono così gli unici obiettivi per la realizzazione del nuovo stato palestinese.

Le conseguenze della propaganda sono evidenti anche nel pensiero di cui la sinistra, laica e cristiana, in Europa si fa portavoce, il cui giudizio non si articola sulla conoscenza storica e sulla consapevolezza della dimensione giuridica e culturale del conflitto tra arabi ed ebrei, ma è guidato dal moralismo e dal pregiudizio e alimenta ogni giorno il razzismo e l’antisemitismo. Anche questa è una forma d’idolatria: in conformità a suggestioni di natura emozionale, dal giudizio morale ed etico deriva il sostegno verso chi appare e si dichiara essere più bisognoso, povero, disperato, sofferente, e la condanna di chi lotta e combatte per la difesa dei propri diritti. Attraverso l’uso improprio di ciò che nell’immaginario è sacro, in nome della pace, delle sofferenze dei poveri e diseredati, in nome del diritto universale internazionale, l’idolatria diviene veicolo del pregiudizio razziale antisemita. L’adorazione del povero e della pace, veri o inventati che siano, vuol dire renderli un idolo, nel nome del quale ogni atto, anche il più scellerato è ammesso anzi esaltato.

Gli ebrei-non ebrei, con laici e progressisti, rinnegando la propria identità, la storia e il diritto, influenzati da suggestioni laiche e moraliste, seguitano a proporre una soluzione politica del conflitto che prescinde da un approccio culturale che inevitabilmente investe storia, diritto, spiritualità, in una parola l’identità ebraica. Apparentemente in favore della pace e del negoziato, in realtà rinnegano la propria appartenenza e sulla base del giudizio moralistico continuano ad attribuire agli ebrei, e in particolare ad alcuni personaggi politici giudicati “estremisti” o fanatici, la responsabilità del fallimento delle trattative con i palestinesi. Gli obiettivi espressi dai leader palestinesi - ritorno di milioni profughi arabi in Israele, realizzazione di un'unica Palestina unita, restituzione(?) di Gerusalemme est o dell’intera Gerusalemme, distruzione d’Israele -, compresi gli attacchi terroristici, sono attribuiti alla presunta malvagità degli israeliani estremisti, che sarebbero loro stessi la causa delle azioni suicide dei palestinesi. In quest’ottica distorta gli israeliani sono considerati responsabili diretti e indiretti della disperazione dei palestinesi, del loro programma politico, degli attacchi suicidi, dello stato di indigenza nei territori, della mancanza di un’adeguata amministrazione e persino dell’incitamento all’odio verso ebrei. Non è una novità, in tempi non lontani si attribuiva agli ebrei la responsabilità dell’antisemitismo e della violenza contro se stessi.

Anche gli ebrei-non ebrei sembrano dunque prospettare soluzioni impossibili o unilaterali, che, di fatto, negano qualsiasi confronto o riconoscimento reciproco. Soluzioni impossibili sono quelle che negano l’appartenenza culturale del popolo ebraico ad Israele, negano la storia, il diritto storico, la legge, negano insomma gli ebrei e l’ebraismo e fanno della trattativa politica e della pace a tutti i costi, con un nemico che non accetta né la pace né la trattativa, una nuova forma d’idolatria.

10 - La profonda opera di revisionismo storico in atto da parte della società civile è confermata dalle Nazioni Unite. In occasione delle riunioni preparatorie della conferenza mondiale contro il razzismo, durante la conferenza di Durban e nelle riunioni successive è stato permesso che i documenti ufficiali avessero un contenuto razzista e diffamatorio nei confronti del popolo ebraico e sono state permesse dichiarazioni di rappresentanti di governi e di ONG di contenuto antisemita; Olocausto è stato scritto con la lettera minuscola e al plurale per comprendere anche il “genocidio” dei palestinesi, è stato denigrato ed è stato ricordato con una sola frase nella parte specifica del documento relativo al medio oriente; si è voluto mettere sullo stesso piano antisemitismo e islamofobia, contribuendo ad alimentare la mistificazione e la manipolazione dei fatti e della storia e si è voluto, fra l’altro, assimilare i palestinesi agli ebrei in quanto semiti e a individuare i palestinesi quali vittime di razzismo.

11 - Nell’Assemblea Generale, presso l’Alto Commissariato per i Diritti Umani, nella IV Convenzione di Ginevra sulla Protezione dei Civili in tempo di Guerra sono stati elaborati documenti che condannano unilateralmente Israele in conformità ad uno schieramento politico e non sulla base del diritto. Israele è accusato di essere la potenza occupante di territori palestinesi, di occupare Gerusalemme Est in modo illegale e illegittimo, di violare i diritti umani dei palestinesi, di praticare torture, esecuzioni stragiudiziali, di esercitare una politica d’apartheid con l’uso indiscriminato della forza e della violenza. Inoltre, riunioni ufficiali sono state organizzate dall’ONU durante le festività ebraiche, nei giorni di sabato o durante la pasqua (shabbat e pesach). Questi segnali, ed altri ancora, denunciano la crisi profonda che investe le Nazioni Unite che, di fatto, approva documenti di parte, agisce contro il diritto alla diversità culturale, legittima azioni razziste e in particolare contro gli ebrei. In accordo alle procedure stabilite, le decisioni nelle riunioni sono prese con un voto a maggioranza, con appelli formali al rispetto dei diritti umani universali, nonostante il voto a maggioranza e i diritti universali non siano sufficienti a garantire le minoranze; non è prevista la presenza di un organismo indipendente in grado di giudicare la legittimità di un provvedimento sulla base del rispetto del diritto fondamentale alla diversità culturale.

Accanto ai diritti fondamentali dell’uomo sarebbe necessario introdurre il diritto alla diversità culturale che proteggesse popoli, comunità, gruppi differenti. La cultura, infatti, è proprietà di gruppi, comunità e popoli e non di singoli individui, e multiculturale è una società nella quale sono garantiti i diritti di tutte le diversità.

Il risultato della continua opera di delegittimazione, revisionismo e negazionismo sono l’organizzazione in Europa e negli Stati Uniti di campagne come "Divest Israel" e "Boycott Israel", in realtà campagne razziste e diffamatorie, basate su menzogne, mistificazioni e che usano stessi metodi e argomenti impiegati dai cristiani e dai nazisti contro gli ebrei. Le campagne hanno avuto successo nel mondo accademico, nel mondo industriale ed aziendale, nel mondo culturale e artistico e riflettono ed hanno a loro volta un riflesso preoccupante sull’attività svolta dalla Commissione (oggi Consiglio) dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Prodotti agricoli e commerciali, intere compagnie e aziende, ricerche accademiche, opere artistiche, eventi culturali, sono messi all’indice perché sono israeliani e sionisti. Il termine “sionista”, riferito indistintamente ad un prodotto della terra, ad un oggetto o ad una persona assume un nuovo significato inventato che non ha niente a che vedere con il senso originario della parola. Sionista, nella nuova terminologia della propaganda è sinonimo di criminale, genocida, praticante dell’apartheid, colonialista, imperialista.

Sembra che la storia si ripeta, dunque. In tempi e luoghi non lontani gli ebrei erano perfidi ebrei, ebrei traditori, i nemici di Cristo, erano l’anticristo, una setta maledetta, il popolo deicida, cospiratori, erano accusati di “particolarismo”, di costituire una lobby, di considerarsi popolo eletto, di considerarsi razza superiore, dominare l’economia, la stampa, l’informazione mondiale, essere traditori, praticare omicidi rituali. In tempi e luoghi non lontani gli ebrei sono stati accusati e condannati in base ad un giudizio scaturito da calunnie e menzogne: falsa propaganda e pregiudizi erano la “verità”. A nulla è valso il tentativo di riportare al buon senso e alla ragione, a nulla sono serviti gli sforzi per difendersi. Le condanne erano sancite da bolle, editti, decreti, leggi speciali che definivano ordini, imposizioni, prescrizioni e intimazioni, espulsioni, soluzioni finali. Oggi la propaganda falsa e mistificatoria, fomentata dai palestinesi e dalla società civile, colpisce Israele e gli ebrei nel mondo. La calunnia non ammette possibilità di scampo, distorce la percezione e la descrizione degli eventi, stravolge i significati e la dimensione dei termini, guida e determina il giudizio sugli avvenimenti. Calunnie e diffamazioni sono confermate nelle sedi istituzionali e sancite nelle condanne espresse nelle risoluzioni e nei documenti ufficiali. Le accuse non sono provate e il giudizio sembra formulato in base al comune sentito dire. Tutta la questione tra israeliani e arabo palestinesi si basa sulla mistificazione, che sembra distorcere anche il significato e l’interpretazione della storia e dei documenti. Di Israele è messo in dubbio e a giudizio dell’opinione di ciascuno persino il suo diritto ad esistere, nonostante forse sia l’unico paese al mondo che ha ricostruito la propria entità nazionale entro i confini della sua terra storica. Ci chiediamo allora quale sviluppo può avere una cultura che produce questo livello di manipolazione della realtà, e quali possono essere gli obiettivi futuri.

12 - E quale stato palestinese dunque? Quale pace è possibile per effetto dell’antisemitismo indiscriminato che individua gli ebrei come nemici? Consideriamo ancora lo Statuto del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) del 18 agosto 1988, dove l’art.22 recita:
“I poteri che sostengono il nemico (gli Ebrei ndr)
Il nemico ha programmato per lungo tempo quanto è poi effettivamente riuscito a compiere, tenendo conto di tutti gli elementi che hanno storicamente determinato il corso degli eventi. Ha accumulato un’enorme ricchezza materiale, fonte d’influenza che ha consacrato a realizzare il suo sogno. Con questo denaro ha preso il controllo dei mezzi di comunicazione del mondo, per esempio le agenzie di stampa, i grandi giornali, le case editrici e le catene radio-televisive. Con questo denaro, ha fatto scoppiare rivoluzioni in diverse parti del mondo con lo scopo di soddisfare i suoi interessi e trarre altre forme di profitto. Questi nostri nemici erano dietro la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa, e molte delle rivoluzioni di cui abbiamo sentito parlare, qua e là nel mondo. È con il denaro che hanno formato organizzazioni segrete nel mondo, per distruggere la società e promuovere gli interessi sionisti. Queste organizzazioni sono la Massoneria, il Rotary Club, i Lions Club, il B’nai B’rith, e altre. Sono tutte organizzazioni distruttive dedite allo spionaggio. Con il denaro, il nemico ha preso il controllo degli Stati imperialisti e li ha persuasi a colonizzare molti paesi per sfruttare le loro risorse e diffondervi la corruzione. A proposito delle guerre locali e mondiali, ormai tutti sanno che i nostri nemici hanno organizzato la Prima guerra mondiale per distruggere il Califfato islamico. Il nemico ne ha approfittato finanziariamente e ha preso il controllo di molte fonti di ricchezza; ha ottenuto la Dichiarazione Balfour [del 2 novembre 1917, che sostiene “il diritto degli ebrei a costituire un focolare nazionale in Palestina” e prende il nome dall’allora ministro degli esteri britannico e già primo ministro Lord Arthur James Balfour, 1858-1930], e ha fondato la Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo. Gli stessi nemici hanno organizzato la Seconda guerra mondiale, nella quale sono diventati favolosamente ricchi grazie al commercio delle armi e del materiale bellico, e si sono preparati a fondare il loro Stato. Hanno ordinato che fosse formata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con il Consiglio di Sicurezza all’interno di tale Organizzazione, per mezzo della quale dominano il mondo. Nessuna guerra è mai scoppiata senza che si trovassero le loro mani. …
I poteri imperialisti sia nell’Ovest capitalista sia nell’Est comunista sostengono il nemico con tutta la loro forza, in termini materiali e umani, alternandosi in questo ruolo. Quando l’islam si risveglia, le forze della miscredenza si uniscono per combatterlo, perché la nazione dei miscredenti è una…”.

Questo è un programma antisemita ed è il vero nemico da combattere.

Questa idea conduce ad un’esasperazione dialettica degli schieramenti, ad una semplificazione dei ragionamenti e della realtà, all’allontanamento di una parte di verità, alla demagogia, fino rimozione o alla negazione della memoria.

Propaganda, falsità e violenza indiscriminata, come questa, rendono impossibile qualsiasi soluzione, almeno fino a quando non è riconosciuto che quella è la terra ebraica che potrà essere concessa ad altri in seguito ad un accordo. Sfugge così anche il significato della parola pace, così abusata, che sembra solo il prevalere di una parte su un’altra ed essere dettata da motivazioni e suggestioni moralistiche e non dal diritto. La pace vorrebbe essere quasi il risultato di una sovrapposizione o un’imposizione politica, un ideale universale, un termine astratto, un sogno, un mito, un idolo, ma mai un programma affidabile.

E’ indispensabile ristabilire e rinsaldare contatti per il riconoscimento reciproco di elementi culturali comuni al fine di aprire nuove strade per il negoziato. Ebrei e musulmani hanno combattuto fianco a fianco contro i crociati a Gerusalemme, hanno partecipato insieme alla difesa di Granada, sono stati insieme espulsi e massacrati dalla Spagna e da altri paesi nel 1492, hanno convissuto in molti paesi per secoli, hanno esercitato attività commerciali e di scambio in comune. La comunità ebraica e quella musulmana, pur mantenendo un’identità diversa e separata, conservano delle similitudini culturali più di chiunque altro.

Tre principi ci sembrano fondamentali, che possono essere affermati sia con la pace sia in assenza di pace: il principio del negoziato, il principio di riparazione, il principio di solidarietà. Qualsiasi ipotesi di trattativa, di confronto politico o culturale è possibile, qualsiasi soluzione non è da escludere a priori nell’ambito del negoziato, cioè il luogo dove le parti si incontrano, ogni sforzo in questo senso può essere utile per ottenere un accordo anche parziale o un inizio di riconoscimento reciproco. Il principio di riparazione potrebbe essere introdotto per chiarire e ridefinire la questione delle terre e per ripagare e compensare il costo delle proprietà acquisite, sia da parte araba sia da parte ebraica. Il principio di solidarietà, secondo il quale è necessario aiutare chi è più debole ad aiutare se stesso, potrebbe essere inteso come il sostegno a ricostruire le basi e i fondamenti culturali e giuridici del popolo palestinese.

Ai palestinesi ci appelliamo dunque, perché, accettino la natura ebraica dello stato d’Israele, riconoscano l’irrealizzabilità della proposta che prospetta la formazione di una Palestina unica, ed abbandonino per sempre la propaganda falsa e inconsistente. I palestinesi e i loro sostenitori potrebbero forse interrogarsi sulle conseguenze del relegare ad un ruolo marginale il diritto, sia nella lotta politica sia nella trattativa, e sul rischio che il vuoto lasciato dalla legge sia colmato da valutazioni, giudizi, pregiudizi e condanne sulla base del moralismo e della propaganda.

I palestinesi potrebbero riconoscere i diritti degli ebrei e d’Israele, il valore del nemico, le sue aspirazioni, la sua storia, la cultura, il diritto e considerare la Shoà come un evento che non è assimilabile ad altri; possono contribuire a mettere fine all’antisemitismo smettendo di utilizzare la propaganda antisemita come mezzo di lotta politica. Se non vogliono restare semplici abitanti in terra altrui, i palestinesi potrebbero definire la propria identità di popolo e il loro specifico legame con la terra; a loro diciamo di affermare, esercitare, praticare tutto ciò che dà loro il diritto di costituire uno stato sulla terra nella quale finora hanno abitato. Anziché negare l'esistenza d’Israele, i palestinesi possono tentare di costituire uno stato e di lottare sul piano politico e culturale per la sua realizzazione. A loro chiediamo di smettere di riferirsi a principi astratti e universali, di far discendere la fondazione della propria dimensione giuridica collettiva di popolo da un diritto interno, e di formulare una propria concezione locale dei diritti umani da confrontare con la controparte. I palestinesi potrebbero persino individuare nel diritto ebraico uno strumento per creare e fondare anche il proprio diritto alla terra e allo stato e trovare negli ebrei gli interlocutori e i possibili sostenitori e alleati nel processo di creazione dell'entità nazionale.

Ai palestinesi ci appelliamo perché riconoscano il diritto storico e inalienabile degli ebrei ad Eretz Israel, diritto che può essere negato soltanto con la forza e con la violenza. I palestinesi possono dimostrare a se stessi e agli altri di essere un popolo con una struttura culturale e giuridica adeguata e organizzata, di esercitare un diritto storico o acquisito su quel territorio, di impegnarsi nella lotta politica, nelle trattative diplomatiche, nel negoziato e nel realizzare le strutture principali del loro futuro stato.

Agli israeliani ci appelliamo perché smettano di considerare la società israeliana un modello di sviluppo occidentale, e il conflitto con i palestinesi un problema esclusivamente politico. Gli Israeliani potrebbero tenere in considerazione le aspirazioni, il valore, la cultura del nemico. Gli israeliani potrebbero forse sforzarsi per individuare altri e nuovi interlocutori fra i palestinesi e potrebbero impegnarsi per spostare il piano del confronto dal livello politico a quello culturale e rivendicare il proprio diritto e il proprio legame con la terra, anche nella trattativa con i palestinesi. Agli israeliani ci appelliamo perché proseguano nel programma di valorizzazione della diversità culturale interna, ebraica e non ebraica, migliorando le condizioni di vita tradizionali di palestinesi, beduini ed altri.

Cultura ebraica e cultura islamica, diritto ebraico e diritto islamico, potrebbero essere gli strumenti per impostare un nuovo tipo di negoziato. Gli ebrei potrebbero perfino sostenere i palestinesi e aiutarli a ridefinire le basi culturali e giuridiche di un popolo che sembra stentare a definire le sue radici e la sua cultura.

Gherush92 Comitato per i Diritti Umani
gherush92@gherush92.com

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