Gherush92 |
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GUAI A VOI, SCRIVI E FARISEI: Vogliono Beatificare Isabella di Castiglia e Pio XII ! Ovvero: Della Intolleranza UniversaleLettera aperta al Pontefice, al Presidente Cossiga, al Rabbino Bahbout, al Bet Din.Data: 2004-10-05Autore: Gherush92 Egregio Pontefice, la ringraziamo per aver voluto rispondere attraverso i suoi rappresentanti e per aver rimandato la sua visita alla sinagoga di Roma. Noi saremo felici di accoglierla quando avrà voluto fare chiarezza sulle questioni fondamentali del rapporto fra cristianesimo ed ebraismo. E’ proprio vero quel lei dice, “l'opposizione di alcuni governi al riconoscimento esplicito delle radici cristiane d'Europa” definisce “un disconoscimento dell'evidenza storica e dell'identità cristiana delle popolazioni europee” ed è un chiaro segno che nell’opinione di coloro che non si definiscono cristiani, tali presunte radici tanto buone non sono. Presunte radici, infatti, perché lei sa come noi sappiamo, che l’Europa non ha radici cristiane, tanto meno radici giudaiche o giudaico-cristiane. Origine dell’Europa è una moltitudine di popoli e culture differenti. Salutiamo, dunque, la decisione del parlamento europeo quale espressione e manifestazione di libertà da parte dell’Europa che nella diversità - e non nell’universalità uniformante - vuole riconoscere le proprie origini. E’ proprio vero quel che lei sa, come noi sappiamo, che in quei presunti valori cristiani così spesso esaltati qualcosa non va, se solo due anni fa recitava la preghiera universale, confessione delle colpe e richiesta di perdono, se ha voluto riconoscere i peccati dei cristiani contro gli ebrei, contro le donne, contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, gli africani, gli indigeni, il rispetto delle culture e delle religioni e se oggi vuole mirabilmente rinnovare lo spirito di pentimento verso l’istituzione dell’Inquisizione. Con quel pentimento anche lei, con noi, oggi potrebbe salutare con gioia l’esistenza delle diversità in Europa piuttosto che rammaricarsi della mancata uniformità. C’è una differenza incommensurabile e una rottura irreparabile tra lei e noi: il guasto e la colpa della chiesa e del cristianesimo lei lo attribuisce all’azione di coloro che nel corso della storia si sono allontanati dalla verità evangelica, mentre noi lo aggiudichiamo a quella stessa verità. Noi diciamo che il guasto è contenuto in quelle stesse radici e in quegli stessi valori universali che lei avrebbe voluto condivisi nella nuova costituzione europea. Tali difetti sono talmente importanti da non poter essere trascurati. Proveremo perciò con animo franco ad esporre quelli che riteniamo più rilevanti e che compromettono il confronto sereno e il dialogo proficuo. Le popolazioni europee non sono sempre state cristiane, come lei vorrebbe, né i valori cristiani sono universali. La prima affermazione è una realtà storica inconfutabile, la seconda è ovvia conseguenza della mancata condivisione universale di quei valori. Nella pretesa universalità del cristianesimo - contenuta nello stesso appellativo katholikos - si nasconde, secondo noi, il primo difetto. Nella dichiarazione “Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa” è rinnovata la validità della missione universale della chiesa. “La missione universale della Chiesa nasce dal mandato di Gesù Cristo e si adempie nel corso dei secoli nella proclamazione del mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e del mistero dell'incarnazione del Figlio, come evento di salvezza per tutta l'umanità.” Lei sa, come noi sappiamo, che la distruzione della diversità è inevitabile conseguenza di ogni missione universale. L’universalismo cancella le diversità, viceversa, e paradossalmente, queste non eliminano l’universalità che è l’insieme di tutte le diversità stesse. Le saremmo molto grati se volesse sostituire il termine universale perché nel riconoscimento della estraneità degli ebrei ai valori cristiani si potrà trovare il confronto sereno e il dialogo proficuo. Nell’idea e nell’azione evangelizzatrice si nasconde il secondo difetto che del primo è la diretta conseguenza. Le popolazioni europee sono divenute cristiane nel corso dei tempi a causa dell’opera di evangelizzazione della chiesa e del cristianesimo. Nella dichiarazione “Dominus Jesus” è rinnovato il compito di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: 1. Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8). La missione evangelizzatrice, proclamata quale opera di amore universale, continua a rappresentare una offesa e una minaccia verso quei popoli che praticano una propria cultura e che nel Vangelo non si riconosco. Lei sa, come noi sappiamo, che nel nome del Vangelo sono state commesse orribili oppressioni e l’evangelizzazione ha significato e provocato la scomparsa e l’assimilazione di molti di quei popoli e culture alle quali lei oggi desidera esprimere il suo pentimento. Culture e popoli diversi non hanno bisogno di essere ammaestrati, istruiti o addestrati. Le saremmo riconoscenti se decidesse, perciò, di interrompere l’opera missionaria, se è davvero sua intenzione chiedere perdono. Nella idea cristiana di dialogo interreligioso, dove è rimarcata l’intenzione da parte della chiesa di continuare l’opera di evangelizzazione, si nasconde il terzo difetto. La stessa dichiarazione “Dominus Jesus” e il Nuovo Catechismo Universale ribadiscono che “La missione ad gentes anche nel dialogo interreligioso conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità …” e che il dialogo interreligioso deve avere essenzialmente lo scopo di convertire. “22. Con la venuta di Gesù Cristo salvatore, Dio ha voluto che la Chiesa da Lui fondata fosse lo strumento per la salvezza di tutta l'umanità . … Se è vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici… …La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali né tanto meno a Gesù Cristo, che è Dio stesso fatto Uomo, in confronto con i fondatori delle altre religioni. La Chiesa infatti, guidata dalla carità e dal rispetto della libertà, dev'essere impegnata primariamente ad annunciare a tutti gli uomini la verità, definitivamente rivelata dal Signore, ed a proclamare la necessità della conversione a Gesù Cristo e dell'adesione alla Chiesa attraverso il Battesimo e gli altri sacramenti, per partecipare in modo pieno alla comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. D'altronde la certezza della volontà salvifica universale di Dio non allenta, ma aumenta il dovere e l'urgenza dell'annuncio della salvezza e della conversione al Signore Gesù Cristo. …” Ora, ci spieghi, come possono esistere confronto sereno e dialogo proficuo con chi ribadisce la necessità della tua conversione? Come può esistere confronto interreligioso con chi non riconosce la tua diversità? Come può costruirsi uno scambio paritario se non abbiamo pari dignità? Come è possibile dialogare con chi sa di volersi esprimere anche a nome del suo interlocutore? La differenza fondamentale tra di noi sta nel fatto che il cristianesimo universale si esprime a nome di tutti, anche a nome di chi non è d’accordo, mentre gli altri parlano per sé. In questo ecumenismo si nasconde l’idea e la pratica della supremazia. Le chiediamo gentilmente di eliminare per sempre i termini missione ad gentes nel dialogo interreligioso, se davvero è sua intenzione chiedere perdono. Nel suo ultimo messaggio inviato in occasione del centenario al Rabbino Capo di Roma si nascondono il quarto e il quinto difetto. Con quel messaggio, pronunciato dentro la sinagoga, luogo sacro agli ebrei, lei ha offeso di nuovo citando la Dichiarazione Nostra Aetate con la quale la Chiesa cattolica, con il Concilio Ecumenico Vaticano II, ribadisce e conferma l’accusa e la responsabilità delle autorità ebraiche per la morte di Gesù. In quel documento è scritto, infatti: "… E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. …”. Lei sa bene, come noi sappiamo, che non è mai esistita alcuna congiura del sinedrio e delle autorità ebraiche per uccidere Gesù né gli ebrei hanno mai commesso il deicidio. Nella esplicita o implicita arrogante pretesa di reiterare l’accusa di cospirazione e di attribuire la responsabilità della morte di Gesù alle autorità ebraiche con i propri seguaci si nasconde il quarto difetto. Lei sa bene, come noi sappiamo, che la falsa accusa di deicidio ha provocato atroci angherie e tribolazioni e rappresenta ancora oggi un oltraggio e una intimidazione. Le saremmo riconoscenti se lei si adoperasse per cancellare dalle scritture la calunnia della cospirazione e del deicidio riferita alle autorità, agli scribi o ai farisei, o ad una parte del popolo ebraico, se davvero è sua intenzione chiedere perdono. Il quinto difetto, che è una derivazione del primo e del secondo, è la reiterata affermazione della presunta esistenza di un vincolo inscindibile tra ebrei e cristiani, vincolo che lei ha voluto rimarcare nel suo ultimo discorso. La rinnovata conferma del verus israel porta con sé immagini e ricordi tragici e luttuosi: Non solo le Scritture sacre, che in larga parte condividiamo, non solo la liturgia, ma anche antichissime espressioni artistiche testimoniano il profondo legame della Chiesa con la Sinagoga, per quell’eredità spirituale che, senza essere divisa, né ripudiata, è stata partecipata ai credenti in Cristo, e costituisce un vincolo inscindibile tra noi e voi, popolo della Torà di Mosé, buon olivo sul quale è stato innestato un nuovo ramo (cfr Rm 11,17). Lei sa bene, come noi sappiamo, che cristiani ed ebrei non condividono le scritture, non condividono la liturgia, non condividono espressioni artistiche né l’ulivo innestato. Lei sa bene, come noi sappiamo, che un legame è tale se condiviso dalle due parti, altrimenti è una catena, una schiavitù, una costrizione insopportabile. Non esiste condivisione delle scritture che sono state manipolate per rivelare al mondo che esiste quella sola verità universale rovina del popolo ebraico e di tutti i popoli che in quella verità non si riconoscono. Non esiste condivisione della liturgia poiché i riti spirituali degli ebrei sono diversi dai riti cristiani né esistono opere d’arte che testimoniano il profondo vincolo tra cristianesimo ed ebraismo. Nella verità assoluta e universale, che fatalmente include anche la diversità, noi possiamo riconoscere solo il giogo amaro e doloroso delle persecuzioni, quelle si, è vero, testimoniate da opere d’arte che ne celebrano le infauste ragioni universali. Opere d’arte universali, antiche e recenti , stanno lì ad eterna memoria a ricordare quel legame coercitivo e quella accusa insostenibile reiterata all’infinito. Tra queste la Cappella Sistina che vuole celebrare in eterno, a partire dalla creazione, l’intera storia di quel legame, la storia ebraica e quella degli antichi romani, rilette alla luce di una verità universale che né gli antichi romani né gli ebrei hanno mai condiviso. Quel legame profondo, riaffermato perfino dentro la sinagoga, è il ricordo sempre vivo di distruzione e assimilazione. Se lei vuole bene veramente agli ebrei, così come lei dice, li rassicuri e accetti di riconoscere la diversità del popolo ebraico e la sua estraneità al cristianesimo. Lei sa bene, come noi sappiamo, che non esistono al mondo né fratelli prediletti, né fratelli maggiori, né fratelli minori, non esiste gerarchia o graduatoria tra i popoli, esiste diversità di popoli e culture. Se lei vuole bene veramente agli ebrei riconosca che non esiste quel vincolo profondo né esistono il vecchio ulivo con il nuovo ramo innestato. La diversità è la nostra comune origine, la diversità è la nostra stessa essenza ed esistenza ed è garanzia di sopravvivenza, vero antidoto alla prevaricazione dell’universalità. Non nella condivisione imposta, dunque, ma nel riconoscimento della reciproca estraneità e diversità potremo trovare il confronto sereno, il dialogo proficuo e lo scambio paritario. Saluti con gioia l’esistenza della diversità del popolo ebraico insieme a quella degli altri popoli, se intende davvero chiedere perdono. Così è scritto nel Vangelo (Matteo - Cap. 23): Ipocrisia e vanità degli scribi e dei farisei [1]Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: [2]«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. [3]Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. [4]Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. [5]Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; [6]amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe [7]e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì'' dalla gente. [8]Ma voi non fatevi chiamare "rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. [9]E non chiamate nessuno "padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. [10]E non fatevi chiamare "maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. [11]Il più grande tra voi sia vostro servo; [12]chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato. Sette maledizioni agli scribi e ai farisei [13]Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci [14]]. [15]Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi. [16]Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. [17]Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? [18]E dite ancora: Se si giura per l'altare non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. [19]Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? [20]Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; [21]e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. [22]E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso. [23]Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. [24]Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! [25]Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. [26]Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto! [27]Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. [28]Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. [29]Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, [30]e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; [31]e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. [32]Ebbene, colmate la misura dei vostri padri! Delitti e castighi imminenti [33]Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? [34]Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; [35]perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l'altare. [36]In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione. Apostrofe a Gerusalemme [37]Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! [38]Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! [39]Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». Per voi gli ebrei sono ipocriti, guide cieche, figli della Geenna, sepolcri imbiancati pieni d'ipocrisia e d'iniquità, serpenti, razza di vipere, li avete maledetti per venti secoli. Li avete voluti seguaci del dio denaro. E’ questo il legame profondo della chiesa con la sinagoga? I farisei e gli scribi sono ebrei, fratelli degli ebrei. Reiterando queste ed altre accuse, che ancora si recitano nel Vangelo, avete fatto della calunnia e del pregiudizio una realtà inconfutabile radicata nella testa di cristiani e non cristiani, impossibile da rimuovere. Con quelle accuse e maldicenze universali si è reso eterno e universale l’odio antisemita. L’antisemitismo laico, di destra, di sinistra tutto deriva dalle calunnie scritte nel Vangelo, compreso i Protocolli dei Savi Anziani di Sion e compreso l’odio islamico contro gli ebrei. Le saremmo grati se lei si adoperasse per cancellare per sempre dal Vangelo queste accuse, se intende davvero chiedere perdono. Se in verità, come dice, lei vuol chiedere perdono è bene che impari ad ascoltare. A nulla serve, infatti, chiedere indulgenza e rispondersi da soli. Per fare teshuvà, che significa ritorno, si devono seguire regole precise. Affermare di fare teshuvà senza seguire le regole che la stessa teshuvà impone, significa cercare di modificare la regola adattandola alle necessità, piuttosto che adeguare le occorrenze alla procedura e così facendo non si fa la teshuvà, si ripete il medesimo errore e si torna ad offendere il proprio interlocutore. Questo modo di procedere, che consiste insomma nel ridurre forzosamente l’altro all’interno di un proprio modello è il più importante difetto che comprende gli altri e tutti nascono dal mancato riconoscimento di una realtà diversa, altra, estranea a quel modello. La diversità non è un modello, bensì una realtà che segue un proprio codice, proprie regole, proprie tradizioni, tutte estranee e differenti dalle altre. La validità e l’efficacia della diversità dei popoli nati migliaia di anni fa è confermata dalla loro stessa esistenza e longevità. La diversità non ha bisogno, dunque, di essere controllata, validata o obbligata in uno schema universale. Se davvero, come dice, lei vuol chiedere perdono provi a cancellare quel modello e a sostituire questo con la diversità. Non si chiede perdono per conto di un terzo perché il perdono lo può chiedere solo colui che direttamente ha offeso. Nessun ebreo, per conto di un altro ebreo o non ebreo, può perdonare perché il perdono lo concede solo la vittima interessata e se questa non c’è più, la questione riguarda esclusivamente colui che chiede il perdono e il suo rapporto con D-o. Ma se davvero, in qualità di Capo della Chiesa e Ambasciatore rappresentante di tutti i cristiani, lei desidera fare teshuvà deve assicurarsi che gli stessi ebrei, o gli altri popoli, le donne, altre culture e religioni, nella qualità di eredi delle vittime, riconoscano valido il suo pentimento. Se davvero vuol fare teshuvà accetti di trattare la questione in ogni suo aspetto e conseguenza, senza omissioni o ambiguità. Dichiari pubblicamente che sono stati commessi offese, ingiustizie e reati da parte dei cristiani nei confronti degli ebrei e che tali crimini sono ancora oggi reiterati. Se davvero vuol fare teshuvà e non può più ricostruire l’elenco completo degli eventi, desideri almeno annoverare i principali accertati responsabili di persecuzioni, crociate, ghetti, massacri, espulsioni, inquisizioni, pogrom fino alla Shoah e oltre. Se davvero vuol fare teshuvà specifichi nome e cognome dei responsabili e delle vittime, qualità ed entità dei reati e delle offese, i luoghi dove sono avvenuti, e cancelli per sempre dal Vangelo e dalle scritture le false ingiurie, l’accusa di deicidio, di complotto e cospirazione, di omicidio umano rituale e le maledizioni contro gli ebrei. E ancora, se davvero vuol fare teshuvà, non costruisca tristi ipotesi riduzioniste. Abbia la volontà di dire al mondo, viceversa, cosa comanda un editto di espulsione, cosa significa recitare l’autodafè e quale è la pena riservata a chi non vuole accettare la vostra universale verità. Le sa bene quanto noi che non dal numero dei morti si misura la responsabilità dell’inquisizione, ma da ciò che realmente quell’istituzione ha provocato. L’inquisizione è stato un disastro irreparabile per gli ebrei e gli altri popoli che hanno imparato a dovere nascondere la propria natura in cambio della sopravvivenza. Ci dimostri, Pontefice, che le sue parole sono sincere e che lei intende davvero chiedere scusa. Se lei vuole bene veramente agli ebrei, così come lei dice, conforti i loro cuori dichiarando che mai Isabella di Castiglia e Pio XII saranno beatificati. Se veramente gli ebrei sono i suoi fratelli, così come lei dice, rassicuri i loro spiriti cancellando la santificazione di Bellarmino e Vincent Ferrer e la beatificazione di Pio IX. E, per piacere, non ci racconti che quelli erano altri tempi perché in quei tempi antichi c’erano anche gli ebrei. Il terrore e la paura non rendono la verità più vera, né più scientifica o più universale. E anche se gli ebrei non rispondono, perché hanno paura, angoscia e imbarazzo millenari, è bene abbandonare l’arroganza, il terrore o l’amore universale come strumento di proselitismo. Riconosca, finalmente, se vuol davvero chiedere perdono, che gli ebrei non potranno mai accettare quella cristiana eterna e universale verità, una e trina insieme, ieri la ragione delle condanne dell’inquisizione, oggi responsabile di un dialogo impossibile. Se davvero vuol fare teshuvà è bene che lei riconosca, per sempre, che gli ebrei hanno una storia diversa e praticano un’altra realtà. A lei, egregio Presidente Cossiga, ci rivolgiamo in questo contesto perché il suo pensiero sembra unirsi a quello di coloro che sono pronti, sinceramente, ad ammettere e denunciare gli errori e gli orrori della chiesa e del cristianesimo verso gli ebrei ma insistono nel volere ribadire che Gesù e le scritture sono elementi di salvezza e unificazione di tutti gli uomini. A lei, Presidente, che ha dichiarato la sua leale amicizia al popolo ebraico e che con fermezza ha saputo condannare la beatificazione di Isabella di Castiglia, l’inquisizione e le leggi cristiane contro gli ebrei, a lei diciamo che, secondo noi, non è vero che Gesù, come lei dice, è venuto a salvare tutti gli uomini, ebrei e gentili, ariani e semiti, gli uomini tutti, completando così con la Sua Rivelazione l’Antica Rivelazione del Vecchio Testamento. A lei, che insiste nel voler comprendere in un unico modello universale la sua storia con quella altrui, diciamo che così facendo è portato ad alterare la realtà. Che possiamo dire di chi pretende di parlare anche a nome di chi non vuole figurare ? La cosa è molto semplice, sarebbe meglio che lei parlasse a nome dei cristiani, dunque, e non per conto degli ebrei, altrimenti si trova costretto a ricadere nelle verità assolute che sono state la causa delle disgrazie del popolo ebraico e di molti altri: Gesù non unisce tutti gli uomini e non ha valore per gli ebrei. Egregio Presidente, mai gli ebrei accetteranno Gesù, mai lo riconosceranno proprio salvatore, mai potranno completare l’antica rivelazione perché il popolo ebraico non riconosce Vecchio e Nuovo Testamento ed è compiuto e completo di per sé. Il prestigio della sua carica non rende la sua verità più vera, le chiediamo gentilmente perciò di volere affermare la sua sincera amicizia agli ebrei in quanto tali, al di fuori della verità universale di Gesù, affinché la considerazione verso il popolo ebraico sia leale amicizia o vera stima e non mero paternalismo. Nel desiderio di sublimare gli uomini e i tempi nella salvazione universale di Gesù, anche gli ariani e i gentili, massacratori degli ebrei, si rischia di contraffare la memoria e cancellare le responsabilità della storia, in questo caso senza neanche chiedere perdono, come fa il Pontefice. Va ricordato che Gesù, secondo quanto dicono i cristiani, è venuto prima, e non dopo quei massacri. Forse potrebbe interrogarsi anche sulle conseguenze dell’esaltare solo gli aspetti politici delle genti e del relegare ad un ruolo marginale il diritto e la cultura. Se si ostina a chiamare terra santa quella striscia di terra che invece si chiama Israele diciamo che anche questo è una forzatura nel modello universale. Quella terra, Eretz Israel, come tutti sanno, è la terra degli ebrei. Capo del Governo Italiano negli Anni 80, durante la presidenza di turno della Comunità Europea, per la prima volta, come lei stesso racconta, promosse e ottenne a nome dell’Italia dal Consiglio Europeo di Venezia il riconoscimento del diritto del «popolo palestinese» alla sua specificità sul piano internazionale. Una specificità solo politica, evidentemente. Di sicuro non si può decidere a tavolino l’esistenza culturale, di diritto, spirituale, sociale, tradizionale di un popolo. Se questo popolo non esiste, non esiste, e lei non ha certo potuto dimostrare il contrario. A quei tempi, facendosi garante della specificità politica palestinese come se fosse un partito, e non un popolo, e sostenendo quella causa, sostituiva se stesso e l’idea di presunta equivalenza dei due popoli, ebraico e palestinese, alla concretezza e oggettività della cultura e del diritto, storico e attuale, e alla realtà angosciante fatta di un dialogo impossibile. Il dialogo è impossibile con chi si costituisce solo sulla propaganda costruita sulla menzogna e, peggio ancora, sull’odio eterno contro gli ebrei e nient’altro. Un popolo nuovo forse può nascere, ma servono ben altre valenze di quella meramente politica. Il riconoscimento del diritto del «popolo palestinese» alla sua specificità sul piano internazionale da Lei sostenuto, Le consente tuttavia, egregio Presidente, di affermare che il terrorismo, ma in particolare l'uccisione di civili israeliani, compresi vecchi, donne, ammalati e bambini da parte di «kamikaze», non è sempre e ovunque da condannare, ma può esser giustificato, approvato e lodato dalla sua «causa finale», nazionale o religiosa. La «causa finale» che Lei dice – che sembra molto simile alla «soluzione finale» - è quella della liquidazione di Israele e del popolo ebraico da parte del presunto «popolo palestinese» e dei suoi, perseguita per secoli, come Lei sa, dal cristianesimo. Noi, in tutto questo, non riusciamo ad intravedere alcuna traccia di salvezza o di redenzione per gli ebrei. A lei Rabbino Shalom Bahbout ci rivolgiamo perché in questo dialogo impossibile sembra cercare un compromesso. Noi pensiamo che il compromesso, oggi come in passato, non funzioni. Se parlare è rischioso, il compromesso per noi significa annichilimento culturale e impossibilità del confronto (e non un’apertura come qualcuno vorrebbe), proprio perché il contraddittorio nasce, in questo caso, da un tacito consenso a presupposti che sono inaccettabili. Come il Pontefice usa in modo improprio termini ebraici per compiacere gli ebrei, così lei, Rabbino, sembra usare in modo improprio termini greci per assecondare i cristiani. Parla di religioni monoteistiche, comprendendo tra queste anche l’ebraismo pur sapendo bene che l’ebraismo, non è una religione e non è monoteismo. In altre parole, tanto per essere chiari, l’ebraismo, come la cultura e la spiritualità di ciascun altro popolo, non assomiglia e non può assomigliare a nessun altro. Eliminando queste prime sostanziali differenze con il cristianesimo (che non è un popolo), il suo ragionamento cede il passo a chi impone nell’impostazione il suo modello universale. Non è ebraica l’impostazione universale, perché lei sa come noi, che l’ebraismo è diversità e vive e sopravvive rimarcando la sua distinzione. Conferma, poi, l’idea (non ebraica) che le religioni monoteistiche, in quanto ritengono essere depositarie di verità assolute, sono portate naturalmente alla sopraffazione e all’eliminazione dell’altro e contengono in sé un elemento di intolleranza difficile da eliminare. Ma lei sa bene che questo è un luogo comune se non un vero pregiudizio perché l’unicità di D-o non implica la sopraffazione dell’altro e tanto meno è sinonimo di verità, assoluta o relativa. Non è una verità in cui credere l’unicità di D-io. Lei sa dove nasce il pregiudizio di chi, cercando di nascondere le vere cause responsabili delle sopraffazioni, le cerca in altro luogo. Non nell’unicità o nella molteplicità di D-o dobbiamo ricercare queste ragioni, ma nell’arroganza dell’universalismo, unico vero detentore di quelle verità assolute che lei stesso chiama in causa e che senza sosta minacciano di assimilare, convertire, evangelizzare, eliminare l’altro. L’unica religione sedicente universale, massima espressione dell’universalismo e portatrice di verità assolute valide in ogni luogo e in ogni tempo e causa di quelle sopraffazioni per le quali lei, con noi, cerca l’antidoto è il cristianesimo non l’ebraismo, né altri popoli e culture differenti. L’universalismo persegue la diffusione di una verità universale che vale per tutti gli esseri viventi in ogni tempo e in ogni luogo, verità con una sola direzione e un solo verso cui tutti devono e sono obbligati a convergere. Si può immaginare qualcos’altro di più oppressivo? “La Diversità Culturale (e Linguistica), è lo strumento, l'arte o il mezzo, la tecnica di esistenza, con cui l'umanità entra in relazione con la Diversità Ambientale, la percepisce, la conosce, la gestisce, la conserva, l'accresce. La Diversità Culturale esprime una relazione locale e funzionale dell'umanità con il Creatore, con il suo specifico ambiente ecologico e spirituale ed è fonte di soddisfazione e felicità per chi la pratica” (Risoluzione di Roma, Gherush92). In verità, Rabbino, è evidente che lei non ha alcuna dimestichezza né con l’ universalismo né con la diversità e sembra che con il suo universalismo noachide voglia fare concorrenza al cristianesimo o ne subisca l’induzione o il fascino. Se da una parte il Pontefice e il Presidente Cossiga sostengono che Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini sembrerebbe che lei, Rabbino, voglia associarsi a questa idea con la precisazione che se per i cristiani Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini per lei sarebbe la religione universale di Noè una sorta di zona franca in cui si possono unificare tutti gli uomini compresi gentili e ariani, aguzzini degli ebrei. Non ci convince, Rabbino, quando vuole dare un valore positivo alla mancata attività di proselitismo ebraico. A noi questa non sembra una qualità positiva, ma una ovvia conseguenza del fatto che gli ebrei sono un popolo. Si è mai inteso, per esempio, qualche italiano fare propaganda affinché altri, francesi o inglesi, africani o americani, diventino italiani? E qualcuno fare apostolato affinché tutti gli uomini diventino Masai o indiani d’America ? L’esigenza del proselitismo può nascere in un partito politico, in un movimento, anche in una religione o in una popolazione intesa come comunione di individui, ma non nasce in una famiglia, in una tribù o in un popolo. Il popolo con la sua cultura è dato e definito una volta per tutte. Ci sembra che sbagli ancora, poi, quando vuole assegnare alle leggi noachidi, che lei chiama religione, l’attributo universale da riutilizzare, secondo la sua interpretazione, come antidoto all’intolleranza. L’universalità della “religione noachide” costituirebbe nel suo ragionamento l’antivirus alla presunta sopraffazione ebraica. Tralasciando di sapere in cosa consisterebbe questa intolleranza ebraica, la questione si potrebbe risolvere in questa domanda: perché non abbandonare l’ebraismo intollerante per ritornare alla religione universale di Noè? Le leggi di Noè forse sono rimaste “in vigore” fino a quando non è stata data la Torah e le 613 mitzvot rappresentano la loro naturale implementazione. Vorrebbe con questo affermare che la Torah, le mitzvot, insieme alle leggi noachidi, sono leggi universali, come qualcuno scioccamente ha detto delle leggi della fisica? La legge, per definizione, non può essere universale. Le leggi di Noè non sono una religione, sono sette leggi, appunto. Quanto alla loro universalità sembra assai improbabile che siano state condivise da tutti gli uomini e ritenute per sempre valide, nel tempo e nello spazio. Quanto al loro recupero nei tempi attuali, questa sì potrebbe essere una idea, ma affinché quel che lei dice non sia demagogia o semplice dialettica, è necessario, che nasca un movimento che faccia proprie queste leggi e le pratichi. Ma tutto questo non è facile perché gli ebrei, come è noto, praticano l’ebraismo mentre i cristiani il cristianesimo e dunque questa nuova o vecchia religione universale non esiste. Ma volendo immaginare, per un momento, l’esistenza del noachismo, che forse potrebbe diventare un interessante movimento ma non una religione universale, un nodo fondamentale resta da risolvere per chi intende aderire: le leggi noachidi non ammettono idolatria. Ammettiamo, inoltre, che sia vero che gli ebrei abbiano il compito di diffondere a tutti i popoli le sette leggi di Noè e ammettiamo anche di condividere la giustezza di quelle leggi e il progetto di diffonderle. Dobbiamo implicitamente riconoscere che l’estensione delle leggi implica la loro imposizione, oppure, se ancora veramente volessimo immaginare una reale condivisione spontanea, dovremmo almeno riflettere sul fatto che tutto ciò significa la perdita di quella diversità la cui esistenza è proprio sicurezza e garanzia della stessa sopravvivenza degli ebrei. Volendo, invece, fare i conti con la storia, e non con l’immaginazione, non ci rimane che osservare che, almeno sino ad oggi, questa diffusione universale non è stata praticata. Altro errore è quello di immaginarsi le leggi di Noè panacea contro l’intolleranza. Le leggi non sono tolleranti né intolleranti, le leggi sono leggi e basta. Ad esempio, per l’appunto, le leggi di Noè non sono tolleranti verso chi pratica l’idolatria. Nonostante la buona volontà, infine, non riesce ad evitare il pregiudizio millenario che vuole nell’idea ebraica di elezione una volontà di sopraffazione o di intolleranza o ancora, peggio, di superiorità. L’elezione del popolo ebraico, come lei sa, riguarda specificatamente gli ebrei e il loro rapporto con il Creatore e non riguarda certo il rapporto degli ebrei con gli altri popoli. Come è noto anche tutti gli altri popoli, nel tempo, hanno stabilito altrettanti rapporti speciali con il Creatore e questi rapporti di primogenitura hanno definito la specificità, l’unicità, la diversità, l’irripetibilità di ciascun popolo. Il pregiudizio nasce in tempi molto più recenti con chi ha voluto vedere nel D-o di Abramo, e non di Noè o di Mosè, il D-o universale e ha voluto soffrire della propria mancata primogenitura. La vera necessità del suo ragionamento sembra, dunque, quella di trovare uno spazio per il dialogo e di confronto con chi, esprimendo un pregiudizio, rimprovera come intollerante e razzista colui il quale dichiara di aderire ad una propria esperienza e non ad una verità universale. Gli ebrei sono accusati da lungo tempo di avere una legge, la Torah, fatta solo per gli ebrei e di aver dimenticato tutto il resto dell’umanità. Questa accusa, reiterata mille volte in forme diverse, non dipende dagli ebrei. Tutti gli altri popoli del mondo hanno una propria legge e non vengono per questo accusati di dimenticare proprio niente. Questa accusa è un preconcetto che vede il bene in ciò che è di tutti (in una parola ciò che è universale) e il male in ciò che appartiene ad alcuni (agli ebrei in particolare). La radice di tale accusa, che identifica gli ebrei con una setta, un popolo chiuso ed ostinato nell’errore, purtroppo è nota e note, oramai, sono la sue conseguenze. Se il noachismo è un progetto universale, esiste, invece, chi da molto tempo realizza il programma universale e in questa attività da una parte afferma di condividere le scritture ebraiche dall’altra le modifica e le corregge (e così facendo non le condivide affatto) e poi le diffonde in tutto il mondo come verità universale. Così facendo commette due mancanze nello stesso tempo. A lei, Pontefice, che nel suo ultimo messaggio, che ha fatto pronunciare nella sinagoga, ha voluto confermare che ebrei e cristiani condividono in larga parte le scritture, torniamo a rivolgerci. Abbiamo già espresso quali sono, secondo noi, le conseguenze di ogni tipo di impresa universale e di forzata condivisione, ed essendo noi interessati ad eliminare quelle conseguenze, vogliamo ribadire alcune fondamentali differenze che esistono tra i testi ebraici e le scritture cristiane, persino nelle dieci leggi di Mosè che rappresentano il cuore della legge, che lei invece chiama verità. Le dieci leggi nelle due versioni, ebraica e cristiana, non sono affatto identiche e non si tratta di dettagli poco rilevanti. Chi pratica la versione cristiana di quelle leggi, perciò, dovrebbe per correttezza tralasciare di sottolineare che esiste una condivisione delle scritture. E’ noto, infatti che chiunque voglia citare, con proprietà e senza contraffare, un autore o un’opera sa che deve riportare esattamente quel che c’è scritto e, solo più tardi può, se lo desidera, apportare quelle critiche e modifiche che ritiene valide, ascrivendole a se stesso. I dieci comandamenti dal Catechismo cattolico (dal Catechismo di S. Pio X, per la preparazione ai sacramenti). Io sono il Signore D-o tuo: 1. Non avrai altro D-o fuori di me. 2. Non nominare il nome di D-o invano. 3. Ricordati di santificare le feste. 4. Onora il padre e la madre. 5. Non uccidere. 6. Non commettere atti impuri. 7. Non rubare. 8. Non dire falsa testimonianza. 9. Non desiderare la donna d'altri. 10. Non desiderare la roba d'altri. Torah, Esodo 20:2-17: 1) Io sono il Signore, il tuo D-o, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. 2) Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo D-o, sono un D-o geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. 3) Non pronunciare il nome del Signore, D-o tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano. 4) Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore D-o tuo. 5) Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo D-o, ti dà. 6) Non uccidere illegalmente (non assassinare). 7) Non commettere adulterio. 8) Non rubare. 9) Non attestare il falso contro il tuo prossimo. 10) Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo. Prendiamo in considerazione le prime due leggi del codice ebraico e confrontiamole con quelle cristiane. La prima legge degli ebrei, facendo espressamente riferimento all’uscita della schiavitù d’Egitto ricorda la storia particolare di quel popolo che racconta la sua origine in quel lontano evento. L’uscita dalla schiavitù d’Egitto, infatti, forse più di ogni altra cosa, rappresenta la radice, il cuore di quell’identità e le due parole rimarcate nella legge sono il legame con l’intera storia e memoria di quel popolo. Ora, la stessa legge nella versione cristiana, che in omaggio all’universalismo omette quel vincolo così specifico e importante che segna la nascita degli ebrei, ne cancella in un baleno la memoria e l’identità. D’altra parte l’esigenza di chi proclama i valori universali - e quindi è costretto ad eliminare di forza la “specificità” e il “particolarismo”- è reale: perché tutti i popoli sparsi per il mondo – che, in verità, in tempi e luoghi diversi hanno celebrato altre origini e altri principi - dovrebbero per sempre rinfrescare la memoria altrui o inventarsi la propria origine nel lontano Egitto? Possiamo concludere il ragionamento affermando, senza di tema di esagerare, che la prima legge cristiana universale, se veramente applicata, sarebbe la causa del mancato riconoscimento dell’identità di tutti i popoli del mondo, sia gli ebrei che nascevano in Egitto e sia gli altri popoli assimilati che nascevano in Europa, Africa o America. Il prezzo da pagare per diventare universali, insomma, è la perdita di se stessi. La seconda legge del codice ebraico, cancellata nella versione cristiana, non ammette l’idolatria, non permette di costruire immagini e sculture e condanna inequivocabilmente la loro adorazione e venerazione. Ora, se le leggi di Mosè fossero realmente universali si dovrebbero eliminare statue ed immagini dalle chiese ed altri luoghi, oppure, viceversa, si dovrebbe imporre la nuova verità anche agli ebrei. Ora, lei sa, come noi sappiamo, che di questi due fenomeni, soltanto l’ultimo si è tentato fino ad oggi. A lei, Pontefice, se veramente vuole bene agli ebrei così come lei dice, chiediamo di sostituire quella parola “universale” nelle scritture e di imparare a stimare le differenze piuttosto che a cancellarle nelle affinità, perché così facendo assimila ed elimina anche gli ebrei, che sono quelle differenze. Noi sappiamo troppo bene che la rottura è irreparabile e che non può esistere dialogo con chi offende la tua gente e chiedendo perdono reitera l’offesa, con chi calunnia e chiedendo perdono ripete la calunnia, con chi minaccia e ammettendo la sua colpa ripete la minaccia, con chi converte e vuole continuare a convertire. A volere guardar bene, non si tratta di rottura, perché tra ebraismo e cristianesimo esiste solo alterità, differenza, onesta e legittima estraneità, regolare diversità, mentre la rottura implica quel legame coercitivo che rende inevitabilmente gli uni vittime e quegli altri carnefici. Gesù non è universale, le dieci leggi di Mosè non sono universali e fino a quando esisterà anche una sola persona che dichiarerà la sua estraneità al cristianesimo, questo non sarà mai universale. Lasciamo la sinagoga agli ebrei, Gesù e la croce ai cristiani. Accettiamo che gli ebrei siano liberi di essere quello che sono e, insieme agli altri popoli, di praticare la diversità e non costringiamoli, per intolleranza, diplomazia, opportunismo, falsa democrazia, all’interno di un modello universale che li vuole ora padri o figli di Gesù, ora portatori di un antidoto per l’intolleranza, ora il luogo simbolico di un dialogo impossibile, ora iniziatori del monoteismo, ora i detentori delle leggi universali, ora gli occupanti di terra altrui, tutte attribuzioni che gli ebrei non danno a se stessi e che quindi sono false. Al Bet Din costretto ad approvare questa commedia funesta, chiediamo di farsi coraggio e raccontare al mondo la verità. Il silenzio nasconde quell’angoscia millenaria e la responsabilità che la carica impone. E se anche fosse troppo alto il prezzo da pagare noi pensiamo che sia ancora più alto il prezzo del silenzio. La sinagoga di Roma non è il riferimento simbolico per l’incontro e il dialogo con le altre fedi, in particolare quella cattolica, almeno così ci sembra, ma il luogo di preghiera e studio per gli ebrei. Quel dialogo, che pur giustamente, si continua a sognare, non esiste e voi lo sapete. Vi chiediamo solo di dire la verità e di assolvere l’arduo e ingrato compito di parlare una lingua sola, quella della vostra gente. Al Bet Din ci rivolgiamo, infine, per chiedergli fermamente di non far entrare il crocefisso in sinagoga e di non cedere alle lusinghe della piccola politica e dell’opportunismo. Molti ritengono il crocefisso un’immagine di idolatria che rappresenta quella accusa di deicidio per la quale gli ebrei pagano ancora il prezzo. Il crocefisso è stato ripetutamente introdotto in sinagoga in varie occasioni, di shabat, nei moadim, in occasioni di ricorrenze e celebrazioni. Al Bet Din domandiamo se, secondo l’halaka, la croce o il crocefisso possono essere liberamente introdotti nella sinagoga e se una persona che porta la croce può salire alla Tevà. Domandiamo ancora secondo quale procedura è stato consentito ad una persona che porta la croce di salire alla Tevà, secondo quale procedura è stato permesso che all’interno della sinagoga venisse citata quella Dichiarazione Nostra Aetate nella quale viene confermata l’accusa di deicidio. Denunciamo il fatto che, in questa ed altre occasioni, l’accesso alla sinagoga di ebrei noti sia stato reiteratamente impedito a discrezione di individui non si sa come autorizzati. E comunque, qualunque siano le vostre interpretazioni, noi vogliamo ribadire il nostro desiderio che non sia ricevuta dentro la sinagoga una persona che porta la croce e che salga alla Tevà e che rievochi quel documento Nostra Aetate o altri in cui venga ribadita l’accusa di complotto e deicidio ad una parte del popolo ebraico. Forse niente esiste che sia veramente universale. Forse esistono infiniti mondi diversi ciascuno dei quali raccoglie in sé il proprio universo. Come è scritto: “BETH JACOV, LEKHU VENELKHA BEOR ASHEM KI KOL HAAMIM YELKHU BESHEM ELOKAV VANAHNU NELEKH BESHEM ASHEM ELOKENU LEOLAM VAED” (MICHA 4,5). “CASA DI GIACOBBE, VENITE, ANDIAMO NELLA LUCE DEL SIGNORE PERCHÉ CIASCUNO ANDRÀ NEL NOME DEL PROPRIO D-O E NOI ANDREMO NEL NOME DEL SIGNORE NOSTRO D-O, PER SEMPRE” (MICHA 4,5). |
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