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BENIGNI, FORSE SAREBBE MEGLIO RESTITUIRE L'OSCAR !Data: 2004-10-05Autore: gherush92 Piuttosto che compiacersi del successo del film, delle comparsate televisive e delle interviste a Benigni, che oggi ci racconta che «Tirare fuori la poesia nella tragedia dell’Iraq o del nazismo, come è accaduto anche nella Vita è bella, è la cosa più naturale del mondo. …», bisognerebbe allarmarsi della rinnovata disponibilità dimostrata dalla società italiana a riconoscersi acriticamente in un’operazione culturale ingannevole e artificiosa, che rassicura le coscienze usando la parodia delle leggi razziali e un addomesticato campo di sterminio come scenario surreale per raccontare una favola sui buoni sentimenti. Ma l’unanimità di pensiero e i toni di bassa retorica nazionalista emersi in passato a supporto del film dimostrano l’inequivocabile ansia di non voler fare i conti con un passato terribile che ha visto gli italiani e l’Europa cristiana molto più dalla parte del carnefice, che delle vittime. Un dibattito del genere in Italia e in Europa non è mai avvenuto. In un periodo in cui una emergente ondata di antisemitismo cresce in Europa siamo irritati per la superficialità e la disinvoltura con cui quotidiani, settimanali e televisione pubbliche propongono ancora una volta il tema della Shoah alle giovani generazioni. E’ falso affermare che La vita è bella abbia aperto un dibattito sui campi di sterminio. Il film non offre alcuna chiave di lettura della tragedia, facendo della Shoah un fumettone sentimentale che non suscita alcun interrogativo, né propone alcuna riflessione. Al contrario, il film di Benigni rappresenta l'espressione più chiara e forte di quella emergente forma di revisionismo che nega non la realtà dei campi, ma la specificità del progetto di sterminio degli ebrei, per far passare una visione della Shoah fuori dalla storia che l’ha prodotta, appiattita nel calderone dell'umana sofferenza, che sfuma sull'identità delle vittime e dei carnefici. Benigni, ebreo, non ha nulla di ebraico. Non una parola, un pensiero, un'allusione, un atteggiamento, che permetta allo spettatore di identificarlo come tale. Spogliato della sua diversità, l'ebreo-non ebreo Benigni, da stolto giullare, irride le leggi razziali come nessun cittadino ebreo allora avrebbe potuto fare. La legislazione razziale fu una tragedia immane per gli ebrei italiani ed europei, ma dal film ciò neanche traspare. Far ridere sulle leggi razziali alimenta, oggi come allora, le battute razziste. A quel tempo sicuramente nessun ebreo ne rise, mentre fiorirono quelle barzellette e storielle, che purtroppo ancora oggi siamo costretti ad ascoltare, che ridicolizzano gli ebrei prendendo come riferimento proprio gli stereotipi del Manifesto della Razza. Benigni non è immune da questa eredità: “Dio è anche tirchio, infatti ha scelto gli ebrei come suo popolo eletto” affermava nel suo spettacolo Tutto Benigni, che oggi in videocassetta continua a far ridere compiacenti spettatori . “… voglio fare un appello. Anche David viene dalla Palestina (non da Israele, nda), dopo di lui venne Salomone, re della giustizia e della lungimiranza. Che vadano di nuovo fino a quei luoghi" affermava alla cerimonia del David di Donatello per la premiazione del suo film. O, ancora, “prima di Gesù, carità niente (e la tzedakà? nda) ” commentava Benigni nella trasmissione in prima serata TV dedicata al Paradiso di Dante, che otteneva gran successo di ascolti. Forse bisognerebbe dire dopo Gesù carità niente viste persecuzioni, massacri e stermini di duemila anni… Se “l’ironia è il modo migliore di raccontare l’orrore perché permette la sublimazione”, come affermò il cardinale Ersilio Tonini commentando La vita è bella, questa è in effetti l’unica idea forte a cui da corpo il film. Confondendo abilmente riferimenti verosimili con la pura invenzione, la realtà del campo di sterminio si volatilizza in un messaggio d’amore che tutto può: salvare le vittime, sublimare la catastrofe, perdonare i carnefici. Ma tutto ciò, come ha testimoniato Primo Levi e non solo lui, non ha nulla a che vedere con l'esperienza dei campi e il senso della soluzione finale, ma invece ha a che vedere con una precisa ipotesi revisionista. Sublimare la Shoah serve a negare la persecuzione antiebraica alla base della soluzione finale per cancellare ogni legame con il suo terreno di coltura, l’antisemitismo cristiano. Sottraendo identità alle vittime, trasformando la Shoah in sofferenza di una indistinta umanità, si impedisce di riflettere sul fatto che essa è avvenuta nel cuore dell’Europa cristiana e si oscurano le responsabilità storiche di chi, prima dei campi di sterminio, ha progettato e perseguito la fine dell’identità ebraica e della diversità con leggi discriminatorie, ghetti e roghi nelle pubbliche piazze d’Europa. Pensata come soluzione finale per la “questione ebraica”, la tecnologia dello sterminio è stata poi applicata su larga scala per fare piazza pulita di altre diversità, Roma, Africani, popoli indigeni, omosessuali, donne, dissidenti, con gli stessi effetti catastrofici. Per garantirsi la vita, difendersi da altri tentativi di distruzione, gli Ebrei si sono ricostituiti come nazione. Proprio per questo hanno il dovere, prima degli altri, di conservare la memoria ebraica della Shoah, che testimonia che non si trattò di Olocausto, sacrificio sublimale da cui trionfa il bene dell’umanità. Si trattò di un progetto di distruzione totale, per porre fine ad una parte di umanità, gli ebrei, e che fa emergere il male di questa umanità degli ultimi duemila anni. Quegli ebrei che si espressero favorevolmente nei confronti de La vita è bella, forse pensavano di potersi così alleggerire del carico di una memoria insopportabile, condividendo con altri speranze di vita e di superamento del passato. Questa aspirazione è comprensibile, ma non è condivisibile l’idea che ciò possa avvenire passando un colpo di spugna sulla storia per compiacere gli stessi assassini responsabili di ieri e di oggi. E’ controproducente consegnare la memoria ad un mondo che fa tanta fatica a fare i conti con il proprio passato, dove ancora sussiste il disegno di assimilazione e ancora si producono progetti di distruzione delle identità: progetti di dialogo universale, di interdipendenza universale, fratellanza universale, pacifismo universale, Gerusalemme universale, strombazzati e sbandierati da più parti, non sono altro, in realtà, che un nuovo programma di evangelizzazione universale e di razzismo che promuove e favorisce, nel nome dell’amore universale, un approccio moralistico, la manipolazione della memoria e la sopraffazione delle diversità. E’ controproducente affidare la memoria ad un mondo di omertà che, nascondendo sistematicamente la presenza dell’antisemitismo cristiano di ieri e di oggi, contribuisce inevitabilmente a cancellare anche le tracce sempre più evidenti dell’antisemitismo islamico e di sinistra, che dalla matrice cristiana prendono ispirazione e nutrimento. Non lasciamo, pertanto, che Benigni insieme ai pacifisti e ai no global facciano alcun riferimento alla storia degli ebrei, al suo film e alla delicata situazione in Medio Oriente, che oggi rappresenta l'espressione più chiara e forte di quella emergente forma di revisionismo urlata da più parti e che artatamente confonde l'identità di vittime e responsabili. Solo il riconoscimento del valore della diversità come risorsa e bene per l’intera umanità può far maturare la consapevolezza che invece di distruggerla bisogna conservarla, permettendo di costruire percorsi reciproci di convivenza. |
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