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PALLINE COLORATE E CROCIFISSO PER DISTRUGGERE ALBERI E DIVERSITA’Date: 2017-12-24Author: Gherush92 Ripubblichiamo un nostro articolo con qualche modifica perché molto attuale. Gherush92 Committee for Human Rights PALLINE COLORATE E CROCIFISSO PER DISTRUGGERE ALBERI E DIVERSITA’ Lasciate vivere gli alberi, non li uccidete, almeno non per inutili esposizioni di luci effimere e palline colorate. Non assassinate le innumerevoli relazioni fra le specie diverse, le relazioni fra i popoli, gli animali e le piante. Nella infinita diversità e nelle sue infinite relazioni risiede la conoscenza e la salvezza. Dopo aver viaggiato per oltre duemila chilometri nel cuore dell'Europa, è stato innalzato in Piazza San Pietro l'abete rosso, alto quasi trenta metri, donato dall'arcidiocesi di Elk, in Polonia, mascherato da tradizionale albero di Natale nella sua collocazione accanto all'obelisco. Con questo eccezionale esemplare, altri innumerevoli alberi sono stati impunemente abbattuti per ornare le case di milioni di cristiani. L’albero, addobbato di palline e luci colorate, in un clima che non è il suo, sradicato dalla sua terra che lo ancorava indissolubilmente alle altre specie locali, dopo aver perso la sua identità, perde anche la vita, spegnendosi lentamente fra gli sguardi ottusi dei pellegrini. Stessa sorte è toccata all’abete rosso soprannominato Spelacchio, arrivato moribondo dalla Val di Fiemme, Trentino, che decora Piazza Venezia. Meta e pellegrinaggio di romani e turisti, destinatario di messaggi tristi, ironici o sarcastici, è diventato un monumento funebre, una macabra star mondiale. Il legno di queste vite usa e getta sarà presto riutilizzato nelle falegnamerie per costruire crocefissi e rimarrà un’indicazione per tutti. A differenza della cultura dei popoli indigeni che si relazionano alle stagioni, agli animali, alle piante, alla terra, la tradizione cristiana non pratica relazioni armoniose, ma si sovrappone alla natura, alla memoria, senza ritegno, e cancella le identità culturali e ambientali. Il cristianesimo impone un modello universale che non è compatibile né sostenibile con le culture e con le specie animali e vegetali diverse. E, come il calcestruzzo armato impiegato a forza nelle vulnerabili murature antiche, il cristianesimo è incompatibile con la salvaguardia della vita e della memoria, e causa danni devastanti e irreversibili agli uomini e all’ambiente. Da sempre l’Occidente cristiano si accanisce, in nome dell’evangelizzazione uniformante, contro la diversità culturale e biologica, si appropria di territori, distrugge popoli, animali e piante indifese, come è avvenuto in Africa, America Latina e in Europa nei secoli scorsi. Distruzione di campi coltivati e allevamenti per sottrarre le risorse vitali a coloro che dovevano essere convertiti e che sarebbero diventati schiavi; abbattimento di foreste per realizzare le monoculture, per costruire le navi e fare la guerra ai senza fede, e ancora, come in Spagna e Portogallo, disboscamenti massivi per facilitare il passaggio della cavalleria cristiana e combattere gli infedeli. Sono innumerevoli le specie animali massacrate - ad es. il gatto nero, il lupo, gli animali striscianti - fino quasi allo sterminio, perché simbolo dell’opera del diavolo e sono incalcolabili i massacri di animali indifesi durante le feste del venerdì santo o in onore di santi patroni cristiani. Pubblici processi e condanne contro l’aglio, il prezzemolo e altre erbe o piante utilizzate per usi farmacologici dalle donne processate come streghe o perché giudeizzanti. E il finocchio, pianta maledetta, che serviva per coprire il puzzo dei corpi che bruciavano nei roghi, in particolare degli omosessuali. “Ogni parte di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni brillante ago di pino, ogni riva arenosa, ogni bruma nel bosco scuro, ogni radura e ogni insetto ronzante è sacro per la memoria e l’esperienza del mio popolo. La linfa che scorre negli alberi porta la memoria dell’uomo rosso… … Ci sono sacri queste colline, questi alberi, questa porzione di terra. Noi sappiamo che l'uomo bianco non capisce il nostro modo di sentire. Per lui un pezzo di terra è uguale all'altro, perché egli è uno straniero che viene nella notte e prende dalla terra quello di cui ha bisogno. La terra non è suo fratello, ma il suo nemico e, dopo averla conquistata, la abbandona. L'uomo bianco … tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, alla stregua di cose da comprare, saccheggiare e vendere, come pecore e perline luccicanti. La sua fame divora la terra e la rende un deserto. Io non so. Il nostro modo di sentire è diverso dal vostro…. Ma, forse, l'uomo rosso è un selvaggio e non capisce. … … Per l'uomo rosso l'aria è preziosa, perché tutte le cose dividono il medesimo respiro; l'animale, l'albero, l'uomo... dividono tutti lo stesso respiro. L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira. Come l'uomo che agonizza, non si accorge del proprio fetore." Così parla Capo Seath (Seattle) nel 1854. La legge dei popoli indigeni proibisce la distruzione gratuita degli alberi; chi taglia gli alberi senza motivo è condannato. Il precetto di non distruggere è esteso anche alla distruzione gratuita e allo spreco e riguarda chiunque metta fuoco alle foreste, distrugga vita animale e vegetazione naturale o, gratuitamente, danneggi l’ambiente. I popoli indigeni celebrano la festa degli alberi che ricorda e richiama il rispetto della creazione; il rapporto speciale con la Terra, con il suo ciclo agricolo e i suoi prodotti; la solidarietà sociale, un sistema cioè in cui devono esistere compensi e ridistribuzione della ricchezza. L’albero di natale non è l’albero della vita né della libertà ma è l’albero della morte, simboleggia la nascita del cristianesimo, è segno di distruzione e persecuzione dei popoli vittime dell'evangelizzazione. Così descrive Primo Levi la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz: "Fui issato sul carro da Charles e da Arthur, insieme con un carico di moribondi da cui non mi sentivo molto dissimile. Piovigginava, e il cielo era basso e fosco. Mentre il lento passo dei cavalli di Yankel mi trascinava verso la lontanissima libertà, sfilarono per l'ultima volta sotto i miei occhi le baracche dove avevo sofferto e mi ero maturato, la piazza dell'appello su cui ancora si ergevano, fianco a fianco, la forca e un gigantesco albero di Natale, e la porta della schiavitù, su cui, vane ormai, ancora si leggevano le tre parole della derisione: «Arbeit Macht Frei», «Il lavoro rende liberi»." |
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