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NAZIONI SENZA TERRITORIO

Un Programma Rivoluzionario Qui e Ora

Data: 2022-11-08
Autore: Gherush92 Committee for Human Rights

Mentre il nuovo Governo posiziona i suoi ministri, detta riferimenti culturali di estrema destra e si appresta a stabilire le sue politiche reazionarie, l'ebraismo italiano sembra in crisi, disorientato, diviso tra la secolare tentazione di compiacere il potere costituito e l’incapacità di elaborare un'idea alternativa forte.

A guardar bene la crisi ha radici lontane; da anni l’ebraismo italiano emergente, poco incline a potenziare il dibattito interno e a confrontarsi con i problemi mondani che attanagliano il pianeta, invece di valorizzare l’ebraismo come risorsa in una società pluriculturale e plurinazionale in divenire, continua a parlare a se stesso.

Ma nessuna idea innovativa potrà svilupparsi se si continua a ragionare secondo dicotomie prestabilite, laico/religioso, Israele/diaspora, antisemitismo/antigiudaismo, pro Israele/ProPal, adattando la complessità della realtà e dell’ebraismo a categorie semplicistiche "occidentali" dettate da un interlocutore incapace di cogliere l’essenza di una nazione millenaria. Queste categorie non rappresentano la realtà e non ci rappresentano. Non esiste, se non nella propaganda, una cesura fra Israele e diaspora, fra la Shoah e duemila anni di antisemitismo cristiano, fra kasherut e sofferenza degli animali e del creato, come non esiste affatto il dialogo interreligioso ebraico-cristiano paritario. Sono forzature, semplificazioni che nascono dalla convenienza e dal bisogno di approvazione e consenso. Queste categorie dicotomiche non servono che a manipolare l’ebraismo ora da destra ora da sinistra, ma non a comprenderne la forza unitaria polivalente.

Così mentre l’ebraismo istituzionale è da anni ingessato sulla difesa di Israele, sulla celebrazione della Giornata della Memoria delle vittime della Shoah e sul dialogo interreligioso, l’ebraismo non istituzionale, appiattito su notabili e maggiorenti, mima gli stessi argomenti.

È tempo di cancellare dall'uso corrente e dalle norme che regolano i rapporti fra Stato e Unione delle Comunità Ebraiche il termine religione, e di porre la “Questione Nazionale” al centro dell’elaborazione halachica e politica. È tempo che la Nazione Ebraica, e non la religione, divenga il nucleo portante di un programma innovativo.

D’altra parte la storia degli ultimi due secoli ha costretto l’ebraismo all'interno di definizioni schematiche che mal ne rappresentano complessità e ricchezza. Il termine religione non esiste nella Torah e l’idea di “religione ebraica”, nata ai tempi dell’emancipazione per una forzata analogia con la religione cristiana in contrapposizione allo stato laico, è fuorviante sul piano gnoseologico e culturale e ha conseguenze reazionarie sul piano politico.

Assimilare l’ebraismo ad una religione (“religione ebraica” si legge ovunque, persino nel sito dell'UCEI) significa in maniera arbitraria enfatizzare il culto e il rito rispetto ad altri aspetti che caratterizzano la vita ebraica; significa ridurre il popolo ad una congregazione di individui che praticano un credo soprannaturale; significa ammiccare alle cosiddette “tre religioni monoteiste” e, specialmente, vuol dire disperdere la centralità della peoplehood, la consapevolezza cioè dell'unità fondamentale che ci rende un popolo.

La definizione “religione ebraica” finisce per escludere l’aspetto fondante dell’ebraismo, il popolo che con la legge si costituisce in nazione, e per cancellare l'elemento costitutivo che ne rappresenta l’essenza con la sua carica propositiva in ogni ambito giuridico, spirituale, familiare, sociale, educativo, ambientale, politico.

Se il testo dell’Intesa dello Stato Italiano con le Comunità Israelitiche richiama esplicitamente la libertà religiosa invocata dalla Costituzione, oggi la “religione ebraica” continua a dilagare grazie a quell'invenzione delle “tre grandi religioni monoteiste”.
Questa prepotente enunciazione “tre grandi religioni monoteiste”, che con forza rigettiamo, estromette la maestosa varietà dei popoli del mondo, e schematicamente riduce a tre correnti cardinali una complessa molteplicità.

Rimettere al centro la Nazione con diritti e doveri collettivi, senza classificazioni e distinguo, è un passo importante per un grande rinnovamento culturale in tutti i campi, sociale, ambientale, dei diritti. Si mettano dunque il popolo e la nazione ebraica con la sua legge al centro del dibattito attuale, emergeranno nuove e complesse risposte ad antiche questioni irrisolte, ed affinità con altri popoli e comunità vittime di discriminazione e in cerca di riconoscimento.

Se leggi speciali, concessioni, salvacondotti, licenze hanno riconosciuto nel corso dei secoli nazioni diverse in territori stranieri, talvolta assicurando loro un certo grado di autonomia e libertà, la lotta per il pieno riconoscimento della Nazione Ebraica in terra straniera è l’esperienza rivoluzionaria del Bund, l'Unione dei Lavoratori Ebrei di Russia, Polonia e Lituania, cioè il movimento socialista rivoluzionario ebraico fondato a Vilna nel 1897. Il Bund sostenne l’autonomia nazionalculturale all’interno di uno stato multinazionale, indipendentemente dal territorio d’insediamento. Questa prospettiva è riassunta nell'espressione nazione senza territorio.

A partire dal progetto socialista e federalista sognato dal Bund, la Nazione Ebraica oggi dovrebbe ritornare a ragionare assumendo un punto di vista ebraico, ma al contempo parlare al mondo avendo a cuore il destino di altri popoli e comunità vittime del razzismo e la salvaguardia del creato.

SPAZIO AL DIBATTITO!
VOCE AL DISSENSO!

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