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SVENDERE L’IDENTITA’PER COMPIACERE IL NEMICO

La Venuta del Mashi’ah

Data: 2011-11-02
Autore: Gherush92

Succede un fatto ignobile e grottesco: un ulivo plurisecolare è stato sradicato dalle colline di Nazareth e donato al nemico, in segno della cosiddetta amicizia ebraico-cristiana, espressamente suggellata dal ricordo del miserabile Paolo di Tarso, il teorico della distruzione della diversità, dei pagani, della legge ebraica e il teorico della conversione degli ebrei al cristianesimo. Tutto questo da parte di alcuni ebrei che si sono erti, inopinatamente, a rappresentanti della “nazione ebraica”.

E’ drammatico che un albero plurisecolare sia stato sradicato e trapiantato, è ripugnante che il dono sia stato fatto celebrando Paolo, è disdicevole che sia stato fatto a nome di tutti gli ebrei, è grottesco che lo sradicamento dell’albero sia stato gestito da un’organizzazione che si autodefinisce ecologista.

Con questo ulivo di quattrocento anni, sradicato e ripiantato nel “piccolo acro di Dio, il giardino del papa sulle colline vaticane” il sedicente rappresentante della “nazione ebraica” ha espresso, con intenzione, gratitudine al papa per aver ricordato agli ebrei “che l’albero di ulivo è l’immagine che San Paolo ha utilizzato per descrivere la relazione tra i cristiani e gli ebrei: come il cristianesimo sia un ramo di ulivo innestato nell’albero coltivato rappresentato dall’ebraismo (Lettera ai Romani, 11,17-24).” Il sedicente rappresentante della nazione ebraica cita la Lettera ai Romani, insieme al nemico, mistificandone il significato; parli per sé e non a nome degli ebrei.

Il papa e il sedicente rappresentante della nazione ebraica, che citano lo stesso passo, entrambi furbi o ignoranti ma forse solo opportunisti, non dicono il vero significato che l’antisemita Paolo esprime con chiarezza nel suo scritto a proposito dell’effettivo intento del cristianesimo di convertire gli ebrei con l’innesto e di non lasciare speranza alcuna agli ebrei infedeli: “Tu puoi ben dire: “i rami furono troncati perché fossi innestato io (il cristianesimo).” Sì, ma furono troncati per la loro (degli ebrei) incredulità, mentre tu (cristianesimo) rimani innestato grazie alla fede.; ... E quelli (gli ebrei) d’altronde, se non persistono nell’incredulità saranno reinnestati...” (Lettera ai Romani 11,19-23).

Siamo a tanto? Forse che addirittura certi ebrei usano l’alachà per il proprio tornaconto e svendono l’ebraismo piegandosi a sradicare un albero plurisecolare e a citare Paolo pur di rincorrere un’opportunistica alleanza con i cristiani sperando così di salvarsi dalla loro condanna e confermando, senza ritegno, la presunta esistenza del “verus Israel” in “terra santa”?

D’altra parte, nella stessa Lettera ai Romani è chiaramente formulata l’accusa contro i Giudei, ripresa nei secoli più volte negli scritti antisemiti:
“Infatti abbiamo già formulato l’accusa che, Giudei e Greci, tutti sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c’è nessun giusto, nemmeno uno, non c’è chi comprenda, non c’è nessuno che cerchi Dio! Tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti; non c’è chi compia il bene, non ce n’è neppure uno. La loro gola è un sepolcro spalancato, tramavano inganni con la loro lingua, veleno di serpenti è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. I loro piedi corrono a versare sangue; rovina e sciagura è sul loro cammino e la via della pace non l’hanno conosciuta. Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi” (3, 9-18).

Esistono mitzvot e indicazioni che obbligano a prendersi cura degli alberi e vietano di distruggerli inutilmente; la legge ebraica proibisce la distruzione gratuita degli alberi (precetto di Bal Tashchit) e chi taglia gli alberi senza motivo è condannato alla fustigazione: “Quando assedierai una città per molto tempo, combattendo contro di essa per occuparla, non distruggere i suoi alberi colpendoli con la scure, perché solo i suoi frutti potrai mangiare, ma l’albero non lo dovrai tagliare. ...” (Devarim, 20-19). Il precetto di non distruggere è esteso anche alla distruzione gratuita e allo spreco e riguarda chiunque metta a fuoco le foreste, distrugga vita animale e vegetazione naturale o, gratuitamente, danneggi l’ambiente. “La misericordia dell’uomo deve estendersi a ogni creatura; non la sminuisca né la distrugga, poiché la Saggezza Superiore racchiude ogni elemento del creato – minerali vegetali, animali e umani. ... Non si sradichino vegetali se non quando necessario e non si uccida alcun essere vivente se non per necessità” (Rabbì Moshè Cordovero, Tomer Devorà cap. 4).
Gli ebrei hanno l’obbligo di lasciar riposare la terra, le piante e gli alberi durante l’anno sabbatico: “E sei anni seminerai la tua terra, e ne ritirerai le derrate. E nel settimo la lascerai incolta, e ne abbandonerai il prodotto, lasciando ch’il mangino gl’indigenti del tuo popolo, e ciò che ne avanza mangino le bestie selvagge. Lo stesso farai della tua vigna, e del tuo olivo.” (Shemot, 23, 10-11)
Il popolo ebraico festeggia il capodanno degli alberi (il Tu-bishvat) che ricorda e richiama il rispetto della creazione e del Creatore; il rapporto speciale con la Terra, con il suo ciclo agricolo e i suoi prodotti; la solidarietà sociale, un sistema cioè in cui devono esistere compensi e ridistribuzione della ricchezza. Nel midrash alberi e frutti rappresentano le caratteristiche del popolo ebraico e rappresentano la Torà stessa.
Esiste anche il divieto di mangiare i frutti degli alberi da frutta e di mangiarli solo dopo il quarto anno in segno di rispetto: “E quando sarete entrati nel paese ed avrete piantato ogni specie di alberi fruttiferi, dovrete precludervi i suoi primi frutti: per tre anni vi saranno preclusi, non verranno mangiati e nel quarto anno tutti i suoi frutti saranno sacri per ringraziamento al Signore; ma nel quinto anno potete mangiare liberamente i suoi frutti ed il suo raccolto vi crescerà; Io sono il Signore vostro Dio .” (Vaikrà 19,23-25)
Ancora è scritto: “Se stai piantando un albero e ti dicono che è arrivato il Mashi’ah, prima finisci di piantare l’albero e poi vai ad accogliere il Mashi’ah”.

Chi estirpa alberi per compiacere il nemico non esita a disconoscere l’identità ebraica e le sue regole, disprezza la Terra su cui perde ogni diritto. In questo degrado culturale, in questo compiacimento servile e adulatore, mentre certi ebrei si affannano a riconoscere un dialogo che è la negazione della diversità e dell’ebraismo, il nostro unico pensiero corre al povero amico albero solo, estraneo, sradicato e “reinnestato” senza scampo perché è scritto: “Infatti è forse l’albero del campo come un uomo che può a causa tua ritirarsi in un luogo fortificato?” (Devarim 20, 20).
E se dovesse morire? Sarà legno buono per farne crocifissi …

Interrompete il dialogo ebraico-cristiano fino a quando non sarà finalmente riconosciuto il valore della diversità.


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